22 Nov 2023

Una foresta in casa

Da un progetto iconico di riforestazione è nata una attrattiva turistica

intervista ad Andrea Bartoli

Ci racconta il progetto Human Forest?

Human Forest nasce tre anni fa in un momento in cui tutti parlano di ambiente, ma si fanno poche azioni. C’è una cosa che gli scienziati di tutto il mondo continuano a ripetere che è alla portata di tutti: bisogna piantare alberi! Noi che non siamo scienziati e nemmeno tanto esperti del tema, abbiamo accolto l’indicazione e deciso di insediare una foresta all’interno di un palazzo nobiliare in rovina a Favara, non distante da Agrigento. Se è possibile piantare gli alberi lì, ci siamo detti, allora forse è possibile farlo negli spazi esterni, nei cortili, negli spazi di risulta. Abbiamo un centro storico a Favara abbastanza devastato, ci sono stati tanti crolli e ci piacerebbe partire dalle zone limitrofe a questo palazzo per far forestare gli spazi pubblici. Ma a dispetto di quelle che sono le indicazioni internazionali ed europee, quando ci confrontiamo con l’ufficio tecnico e chiediamo le autorizzazioni per poter piantare a nostre spese degli alberi nello spazio pubblico non riusciamo a spuntarla. Il nostro è un atto di denuncia, una provocazione, ma anche un gesto iconico perchè tutte le persone che hanno visitato questo luogo negli ultimi tre anni (sono state tante, parliamo di almeno trenta-quarantamila persone), si sono portate a casa un’emozione. Human Forest fa parte di Farm Cultural Park, il nostro centro culturale indipendente.

Che attività svolgete con Farm Cultural Park?

Lavoriamo con l’arte, la cultura e l’educazione: strumenti per dare una nuova possibilità, accendere le luci, far respirare le città in cui lavoriamo. Abbiamo iniziato dodici anni fa a Favara, ma dal 2022 siamo operativi anche su Mazzarino, in provincia di Caltanissetta. Mazzarino, già centro propulsore di cultura all’epoca del principe Carlo Maria Carafa, è considerata la perla del barocco siciliano della provincia nissena per la bellezza delle sue chiese e dei suoi palazzi nobiliari. Abbiamo numerosi progetti espositivi, in questo momento ospitiamo Radical she, quadriennale dedicata ai temi del gender equality, dell’empowerement e della leadership femminile. Un altro progetto legato alla sostenibilità è Countless Cities, una biennale dedicata alle città del mondo con la quale i nostri spazi diventano padiglioni che vengono curati da municipalità, università, designer. Chiediamo ai curatori di raccontarci buone pratiche sostenibili che possano ispirarci rispetto al lavoro che stiamo facendo sul territorio.

Quanto conta la dimensione collettiva nel vostro lavoro?

Moltissimo. Il patrimonio più importante di Farm è il capitale relazionale, questa grande comunità multiforme, locale e internazionale che condivide dei valori e una missione, e si mette al servizio di un progetto cercando di portarlo avanti. Chi ci visita a Favara o a Mazzarino diventa un pezzo della nostra comunità, e spesso ci dà una mano come può. L’altro aspetto fondamentale è la continuità: abbiamo iniziato dodici anni fa e non ci siamo più fermati. Questo conta perché è molto faticoso avere degli spazi permanenti sempre aperti, si corrono molti rischi. Ma quando nella vita hai avuto qualcosa dagli altri devi restituire quel pizzico di fortuna in un asset per il benessere collettivo. Questo non vuol dire che tutti a Favara o a Mazzarino capiscano quel che facciamo, per chi magari non ha mai visitato un museo è difficile capire un centro culturale indipendente che mette degli alberi all’interno degli edifici. Anche se devo dire che Human Forest, a differenza dei nostri progetti espositivi, arriva a tutti: ai bambini, agli adulti, ai laureati e a chi non ha studiato mai. Questo è un po’ un miracolo, la forza delle piante, hanno una magia che parla una lingua universale come la musica. Ci ha colpito molto vedere tanta gente che non è mai entrata nei nostri spazi espositivi, che vuole vedere questo palazzo perché ne rimane emozionata.

Che effetto ha avuto il vostro progetto sul turismo a Favara?

Favara non era una città turistica. Oggi Farm ha circa quindicimila visitatori paganti l’anno, cui vanno aggiunti gli ospiti, quattro – cinque mila, e le persone che vengono a Favara a fare un giro. Non pagano il biglietto per visitare le mostre, ma visitano gli spazi esterni: si arriva così a sessanta – settantamila persone all’anno. Nel 2010 a Favara c’erano sei camere d’albergo, oggi siamo a seicento posti letto. Insomma, abbiamo creato il turismo a Favara.

Andrea Bartoli è notaio e consulente in progettazione strategica, fattibilità e gestione delle organizzazioni culturali e sociali, pubbliche e private.

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