28 Feb 2022

Sopra i due gradi, si mette male

Cosa succede esattamente se la temperatura del pianeta si alza troppo (e cosa si può ancora fare).

Intervista a Luca Mercalli

Quali sarebbero le conseguenze di diversi livelli di aumento della temperatura sul pianeta?

Con 1,5 gradi siamo entro i limiti di sicurezza, nella normalità del pianeta come lo conosciamo adesso. Aumenterebbero un po’ gli eventi estremi, ma in una misura giudicata dall’Onu assolutamente tollerabile. Sopra il grado e mezzo cominciamo ad entrare in una zona rossa; sopra i 2 gradi, in una terra incognita.
Questa è un po’ la ratio degli accordi di Parigi, che dicono: non più di 2 gradi, meglio 1,5 ma non più di 2.

È un po’ come la febbre di un malato. Un aumento di 1,5 gradi equivale, diciamo, a una febbre a 38,5; 2 gradi vuol dire 39, sopra i 39 il medico comincia a dire: qui le cose si mettono male…

Come questi diversi aumenti di temperatura impatterebbero sull’inalzamento del livello dei mari?

Con un aumento della temperatura inferiore ai 2 gradi, il livello del mare aumenterebbe complessivamente a fine secolo di circa 40 cm. Oltre i 2 gradi – ma potenzialmente si può arrivare anche a 4 gradi in più se non si fa niente – a lungo termine si può avere un innalzamento anche di 1,20 metri. Il che significherebbe sommergere Venezia e tutto il delta del Po.

Per quanto riguarda tutti gli altri fenomeni, semplicemente più aumenta la temperatura e più diventano frequenti e intensi. Sotto i 2 gradi la siccità può durare due mesi, sopra i 2 gradi magari un anno o un anno e mezzo – in California è già successo che durasse quattro anni. L’ondata di calore che prima arrivava una volta ogni cinque anni può esserci tutti gli anni. Un’alluvione che capita ogni cinquant’anni può arrivare ogni cinque. Un uragano che prima non si era mai visto può venire fuori. È tutta un’amplificazione di fenomeni che conosciamo già, più aumenta la temperatura e più diventano intensi e violenti.

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Quale sarebbe lo scenario se l’aumento a fine secolo fosse di 2,4 gradi come ipotizzato dal Climate Action Tracker alla Cop26?

Con 2,4 gradi già si esce dalla soglia di sicurezza dei 2, si entra in un territorio dove i nostri figli e nipoti rischiano di vedere eventi a cui è difficile adattarsi, per i quali si paga un prezzo più alto. Il livello del mare a fine secolo si innalzerebbe di oltre mezzo metro.

Certo va detto che anche se si fosse capaci di mantenerci sotto i 2 gradi, in ogni caso 30-40 centimetri di innalzamento dei mari non ce li leva più nessuno. È un colpo già in canna, il mare sta aumentando di 3,7 millimetri all’anno. Ma un conto sono 30 centimetri, un altro mezzo metro. Con un aumento di 2,4 gradi della temperatura e quindi mezzo metro di innalzamento del livello dei mari, Venezia diventerebbe una città praticamente invivibile; tutte le coste sabbiose come il delta del Po avrebbero molti problemi. Il danno sarebbe enorme, una fetta di spiagge costiere verrebbe abbandonata in modo permanente. Non sono fenomeni che si possono riparare, una volta avvenuti.

Inoltre, mentre fermandosi sotto i 2 gradi il mare aumenterebbe più o meno di 30-40 centimetri e poi si fermerebbe, oltre i 2 il livello del mare continuerebbe a crescere. Si destabilizzerebbero le calotte glaciali della Groenlandia. Se si va avanti con questa spirale, l’attesa è un innalzamento del livello dei mari di 5 metri nel 2300, l’ipotesi peggiore.

Come sono giudicabili dal punto di vista di un climatologo i risultati della Cop26?

Sono largamente insufficienti. Le leggi fisiche purtroppo non aspettano gli indugi umani. Da un punto di vista meramente negoziale, invece, il bicchiere è mezzo pieno, qualcosa si è portato a casa: non è facile mettere d’accordo 196 Paesi. Ma purtroppo la fisica di questo se ne infischia, non è che ci ascolti e ci faccia degli sconti… C’è una urgenza dettata dalle leggi fisiche, che abbiamo peraltro trascurato per molti anni.

Le decisioni dovevano già essere prese nel 1992, quando c’è stata la prima confernza Onu sul clima a Rio de Janeiro (il Summit della Terra, ndr). Non ci sono scuse, si sapeva dell’urgenza, sono trent’anni che c’è un documento politico internazionale su questi temi, ma ogni anno i passi compiuti sono stati troppo lenti.

Dal punto di vista della complessità, dunque, a Glasgow qualcosa si è fatto, ma non in modo adeguato ai tempi brevi che abbiamo davanti.

Nel corso del negoziato sono stati commessi degli errori?

È un problema di complessità delle problematiche, non di singoli errori fatti alla Cop26. Tutti sappiamo benissimo cosa c’è da fare, l’energia nel mondo viene all’85% da fonti fossili. L’errore strategico è stato fatto trent’anni fa, quando non si è riusciti a imporre una road map subito, che ci avrebbe portato oggi a poter agire con una gradualità che non ci possiamo più permettere.

L’errore è stato aver sempre detto: c’è tempo, rimandiamo, è difficile, l’anno prossimo… Ora il tempo incalza, e il problema non è facile da risolvere, ancor meno in tempi brevi. I Paesi difendono posizioni più o meno difendibili. Alcuni dicono: io non ho goduto quello di cui hanno goduto i Paesi occidentali per cento anni, quindi o mi pagate o brucio il carbone. Il che non sarebbe del tutto sbagliato, se non fosse che anche l’India soccomberà all’innalzamento del livello dei mari.

È una situazione nella quale tutti dicono: qualcuno faccia il primo passo. Ma i Paesi occidentali non vogliono rinunciare a nessuno dei loro interessi. Siamo incartati in un effetto condominio, ci vorrebbe un amministratore che decidesse. Ma l’amministratore Guterres purtroppo non ha potere esecutivo, può solo consigliare: e alla fine, visto che non ha potere esecutivo, nessuno lo ascolta.


Luca Mercalli è il presidente della Società meteorologica italiana, climatologo e docente di
sostenibilità ambientale.

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