28 Mar 2024
Parte dalle città la sfida al climate change
Forestazione urbana, mobilità elettrica, efficientamento energetico: nelle aree urbane innovazione e sperimentazione per la transizione ecologica
di DARIO NARDELLA
Quella delle città è diventata una questione centrale per il futuro dell’Europa, più ancora che dei singoli Stati, anche perché nelle città si concentrano le criticità più rilevanti della vita di tutti noi. Pensiamo all’impatto dell’innalzamento della temperatura, al cambiamento climatico, alle questioni migratorie, ai problemi legati alla sicurezza, all’integrazione sociale. Pensiamo al grande tema delle periferie e anche alla transizione digitale, alla rivoluzione tecnologica. È inutile ricordare che a livello europeo, nelle città ormai si concentrano i due terzi delle popolazioni del continente. Queste criticità sono al centro della trasformazione continua delle aree urbane. In qualche modo possiamo dire che le città sono il problema e la soluzione allo stesso tempo, perché ancora una volta è nelle città che si sperimenta, si innova e si trovano i modelli di cambiamento della convivenza grazie al fatto che, tutto sommato, da sempre, cioè da quando esiste l’umanità, le città sono dei luoghi di continua evoluzione e trasformazione.
Se guardiamo a tutte le città europee ci rendiamo conto che sono tutte in modo diverso universali. Non esiste una città monolinguistica, non esiste una città monoculturale, monoetnica. Le città europee sono la sedimentazione di generazioni di secoli che hanno mescolato e rimescolato culture, etnie, stili architettonici, gusti, lingue. Sono anche luoghi di grande identità. L’inglese nasce a Londra, l’italiano nasce a Firenze, ma questa identità non è un’identità monotematica: è un’identità inclusiva, globale. Io dico che ogni città ha una sua musica, quindi ogni città è unica. Però, come tutti i tipi di musica sono comprensibili alle orecchie di chiunque, e non solo a quelle degli esperti, così la musica delle città è una musica universale, che tutti capiscono. Io sono fortunato ad aver fatto l’esperienza di Eurocities, che è la più grande associazione di città europee. Raccoglie 210 città con più di 250.000 abitanti, il che corrisponde complessivamente a più di 300 milioni di persone. Sono dei veri e propri motori di economia, ma anche appunto di transizione ecologica, digitale e tecnologica. E non è un caso che le città europee abbiano lanciato le sfide più ambiziose. Mentre la Cina promette di arrivare alla neutralità carbonica nel 2060, l’India nel 2070, l’Unione Europea nel 2050, noi sindaci europei abbiamo detto no: noi vogliamo arrivare alla neutralità carbonica nel 2040.
Le città sono le locomotive della sfida al cambiamento climatico, anche perché sono i luoghi dove purtroppo gli effetti dell’innalzamento delle temperature e il cambiamento climatico si sentono di più. È incredibile la giustapposizione degli Stati nazionali, che nelle varie Cop, compresa l’ultima, dimostrano tutta la loro debolezza e fragilità, perché non arrivano mai ad assumere un impegno vero: le città, invece, si danno degli obiettivi di cambiamento estremamente ambiziosi e innovativi. Si aprono alla forestazione urbana, sperimentano sulla mobilità elettrica, lanciano piani di efficientamento energetico. Per questo, sostengo che i governi nazionali dovrebbero coinvolgere di più i sindaci, le comunità locali, le città. Ci vuole coraggio, perché la situazione è drammatica. Quando parliamo di emergenza ambientale ci riferiamo, per esempio, anche a quello che sta vivendo ora l’Italia. Dall’anno scorso ad oggi abbiamo avuto la più lunga e drammatica stagione di siccità mai vista prima. Questo incide sull’economia, sull’agricoltura, sulla salute dei cittadini. La mortalità degli anziani in Italia a causa dell’innalzamento delle temperature è aumentata del 25 per cento nel 2022. E noi cosa facciamo? Assistiamo a continui rinvii e continui scontri, a veti incrociati tra Stati nazionali e organizzazioni sovranazionali.
Non illudiamoci che facendo un piano di forestazione in Brasile risolviamo i problemi delle emissioni di CO2 o di biossido di azoto in Europa. La forestazione va fatta nei luoghi dove effettivamente c’è un problema di innalzamento delle temperature dovuto alle emissioni di anidride carbonica. Quindi va fatta nelle città. Per farla nelle città, però, ci vogliono spazi, bisogna creare spazi nuovi, bisogna togliere cemento e metter piante, alberi. E poi ci vuole una programmazione che tenga conto di tutta la filiera, perché se decidiamo di piantare miliardi di alberi nel mondo, come hanno fatto nell’ultimo G7, bisogna capire anche dove vengono prodotti. Pensiamo ai nostri vivai, che da soli non bastano a fornire una disponibilità di piante in tempi così ristretti. Quindi bisogna alimentare la filiera. A Firenze, ad esempio, da pochi mesi è nata la Fondazione per il futuro delle città, presieduta da Stefano Boeri e diretta da un grandissimo scienziato come Stefano Mancuso, uno dei più grandi esperti di questioni legate all’ambiente e alla biodiversità. Questa fondazione ha il compito di fare ricerca, formazione, e anche di creare progetti come quelli di forestazione urbana o legati anche a una maggiore consapevolezza dei valori della sostenibilità e di stili di vita sostenibili. Questi strumenti sono molto utili, perché possono dialogare anche con il privato: ben venga una collaborazione tra il pubblico e il privato per una missione di interesse pubblico collettivo come quella della tutela dell’ambiente.
Per approfondire i temi di questo articolo ascolta Ci vuole il legno – episodio 3: Capitali coraggiose, cui hanno contribuito anche Stefano Mancuso ed Elena Grandi (assessora ambiente e verde del comune di Milano)