19 Lug 2024
Non diventiamo la Ztl del mondo
La transizione ecologica va fatta, ma smettiamo di inseguire obiettivi irrealistici. E concentriamo gli sforzi sulle azioni più efficaci.
intervista ad ANTONIO MASSARUTTO
Qual è il costo della transizione ecologica?
Enorme. Fin qui, secondo me, alquanto sottovalutato. Facciamo l’esempio dell’energia elettrica: tutti si fissano sul fatto che il pannello solare produce energia a un costo inferiore rispetto alle fonti fossili. Ma il fotovoltaico non è programmabile, e quindi oltre che delle centrali ci servono delle batterie di accumulo. Secondo un recente studio di Elettricità Futura, l’associazione delle aziende italiane dei produttori di energia da fonti rinnovabili, a dicembre 2022 risultano installati in Italia 227.477 sistemi di accumulo elettrochimico, pari a un totale di poco più di 2 GWh di capacità, e nel 2030 dovremo averne 80 GWh in più per centrare l’obiettivo europeo del 45 per cento di consumi da rinnovabili. Ma non sappiamo dove andare a prendere i materiali con cui costruirle. Anche questo aspetto è sottovalutato. Senza contare che bisogna completamente rifare le linee di distribuzione e di trasporto, aspetto finora trascurato: come se i distributori le linee potessero realizzarle gratis.
Dove sbagliamo?
Le batterie vogliamo comprarle dalla Cina perché costano meno, il cobalto e il litio non li vogliamo scavare a casa nostra ma in Africa o in Cina così risparmiamo l’impatto sul paesaggio, il nucleare non lo vogliamo fare per non ammettere di aver sbagliato i termovalorizzatori mai e poi mai, ma poi, mentre aspettiamo il riciclo chimico o l’ossicombustione, ai rifiuti ci pensano i cinghiali. E così via. A forza di dire “facciamo la transizione” e di castrare tutte le opportunità più utili per farla, ci facciamo del male da soli. Ci riempiamo di iniziative folli e controproducenti, come il nuovo regolamento imballaggi che promette di costare moltissimo, di sacrificare posti di lavoro e valore aggiunto in tutte le filiere del riciclo per sostituirle con sistemi di riuso e “vuoto a rendere” tutti da inventare, abbandonando tutte le plastiche monouso: tutto questo per risparmiare lo 0,08 per cento delle emissioni. Non c’è neanche il senso della proporzione su quanto le misure incidano sull’obiettivo che vogliamo raggiungere.
Cosa dovremmo fare invece?
Siamo in guerra contro la CO2? Bene, allora combattiamola, ma per vincere le guerre, se non si vuole andare allo sbaraglio con un bel gesto romantico in stile Lord Byron, se vogliamo sperare di vincerla, questa battaglia, dobbiamo concentrare gli sforzi dove fa più male al nemico, non perdendo tempo a gingillarci con la plastica monouso ma usando le poche risorse che abbiamo nel modo più sensato possibile. I tedeschi chiudono le centrali nucleari che già avevano e con quelle a carbone emettono più CO2 di quanta ne avrebbero emessa nei prossimi mille anni con la plastica monouso. Mi sembra che ci sia una certa schizofrenia, che sembrerebbe quasi dar ragione a chi dice che la transizione la stiamo facendo sul serio ma solo perché Soros ci ha investito un sacco di soldi. Non che io creda a queste stupidaggini, però a forza di comportarsi così il sospetto viene.
Come si fa a fare più male al nemico?
Ragionando su quali siano le azioni più efficaci in termini di euro spesi per ogni tonnellata di CO2 risparmiata. Molti studi sembrano indicare che a incidere non sono tanto i beni di consumo: secondo uno studio di Circle Economy, oltre il 50 per cento di riduzione della CO2 attesa viene dal settore edilizio. Se riusciamo a efficientarlo otteniamo benefici importanti, potrebbe essere una filiera in cui investire. Ma si dovrebbe evitare di dilapidare soldi, con il 110 per cento del bonus facciate, ad esempio, ci siamo mangiati tutte le possibilità di sussidiare eventuali interventi più benefici. Ci siamo tagliati le gambe da soli, appesantendo il bilancio dello Stato per regalare la coibentazione delle seconde case al mare. Ora che abbiamo speso tutti questi soldi (presi a prestito dai nostri figli)le facciate dovremo romperle di nuovo per metterci qualcos’altro, dovremo rimontare le impalcature per fare nuovi lavori che a questo punto pagheremo noi.
E la mobilità sostenibile?
Andare a testa bassa sull’auto elettrica è una scelta piena di punti di domanda, a cominciare dal fatto che stiamo buttando alle ortiche l’industria dell’auto europea e occidentale per consegnarci mani e piedi ai fornitori cinesi, per scoprire magari tra dieci anni che dipendiamo dalla Cina più di quanto dipendevamo da Putin. Mentre soluzioni alternative come i carburanti sintetici o lo stesso idrogeno sono trascurate.
Ci fa un esempio di quel che ci dice vicino alla sua esperienza?
D’accordo, prendiamo il caso dei rifiuti. Secondo me è palese che andare oltre certi livelli di riciclo e recupero finisce per essere controproducente sul piano sia dei costi sia delle emissioni. Secondo un mio studio di qualche anno fa, che andrebbe certamente aggiornato, un sistema che puntasse a riciclare il 50 per cento dei rifiuti raccolti potrebbe essere quello ottimale: il target del 65 per cento stabilità dall’UE è già troppo alto. Se vogliamo riciclare il giusto e chiudere le discariche, quel che resta va destinato a produrre energia con il recupero di calore: con quale soluzione per produrre energia poi se ne può discutere, senza chiudere le porte al nuovo (ossicombustione, riciclo chimico) ma anche consapevoli che la buona vecchia termovalorizzazione comunque il suo lo fa, e anche piuttosto bene.
Quindi?
Inseguire traguardi irrealistici di riciclo finisce per costare un sacco di soldi e per metter chi raccoglie materiali nelle condizioni spiacevoli di non sapere cosa farsene, perché la qualità è troppo bassa per ricavarne qualcosa. Quindi devono bruciarli di nascosto perché non si sa dove farlo, o far finta di esportarli chissà dove, millantando il recupero per poterli valorizzare come energia. C’è ipocrisia, ci diamo target irrealistici ma non vogliamo ammetterlo, quindi continuiamo con questi segreti di Pulcinella che tutti conoscono ma non si possono nominare, si fa finta di scandalizzarsi quando vediamo certe cose ma sappiamo benissimo che non si può evitare di farlo. Non c’è una adeguata consapevolezza del fatto che ci sono cose anche brutte sporche e cattive che vanno fatte: à la guerre comme à la guerre…
Dov’è l’errore?
L’UE, prendendo atto dei ritardi sulla road map per il 2050, non fa altro che inserire obiettivi ancora più irrealistici, così quello che non abbiamo fatto in vent’anni dovremmo farlo in sette… Quanta capacità di fotovoltaico dovremmo installare per seguire la road map? Dieci volte di più. Quante batterie dovremmo realizzare? Multipli di quel che si è fatto fino adesso. Invece di prendere atto dei ritardi registrati, e farne tesoro per correggere gli obiettivi troppo ambiziosi, non facciamo altro che colpevolizzare il primo che passa. Secondo molti il cambiamento climatico è colpa di chi rema contro: di chi compra navi per i rigassificatori invece di favorire le rinnovabili, di chi non lascia installare la capacità eolica e fotovoltaica, come se riempire l’Italia di impianti del genere fosse necessariamente una cosa bella. Ma qualcuno ha idea di cosa sarebbe successo al prezzo del gas in Italia se non fossimo riusciti a diversificare per tempo le fonti di approvvigionamento?
E la transizione dunque?
Va fatta. Va fatta con determinazione. Ma non in modo sconsiderato, costringendo l’industria europea a chiudere. E soprattutto con la consapevolezza degli enormi costi sociali che essa comporta. Ci stiamo trasformando nella Ztl del mondo, un’isola che pensa di vivere ecologicamente solo perché scarica sulle periferie della Terra tutte le cose sgradevoli, e intanto getta in mezzo a una strada chi queste cose le produce a casa nostra: così possiamo fare le green town chiudendo la manifattura che ci ha resi ricchi e prosperi. Ma se la CO2 è un problema mondiale non è che se un Paese diventa leader della green economy, spostando le emissioni in quello vicino, la situazione globale migliora: resta solo l’illusione di averla migliorata.