15 Giu 2022
Non ci sarà riparo nello spazio
Le attività spaziali sono utili, ma non ci porteranno un nuovo pianeta dove abitare una volta distrutto questo.
intervista a Mario Cosmo
Pensa che le agenzie spaziali e la scienza dello spazio abbiano una responsabilità e la capacità di contribuire alla lotta alla crisi climatica?
Le attività spaziali in generale possono fornire un supporto al monitoraggio dei cambiamenti climatici. Ma la responsabilità risiede in noi cittadini. Siamo noi abitanti del pianeta Terra che dobbiamo garantirne la salute. Da una parte, dunque, ci deve essere una acquisizione di coscienza da parte dei cittadini. Dall’altra la scienza, coadiuvata anche da quella dello spazio, deve permetterci di acquisire conoscenza dei modelli climatici e soprattutto dell’impatto umano sul cambiamento climatico. Questo dovrà influenzare i nostri comportamenti, il modo in cui interagiamo con il pianeta.
L’utilizzo delle immagini satellitari è fondamentale per monitorare gli effetti della crisi climatica sugli ecosistemi: quali sono le applicazioni e le innovazioni più recenti?
Hanno a che fare soprattutto con la modellistica dell’interazione della famosa era antropogenica che stiamo attraversando. Siamo partiti con delle immagini satellitari con vari spettri di frequenza e stiamo vedendo la risposta della Terra a vari fattori in queste diverse finestre dello spettro elettromagnetico. E’ come se fossero aumentati i sensi con cui possiamo monitorare questi cambiamenti: mentre prima potevamo solo vederli, oggi grazie a questi altri occhi che stiamo sviluppando iniziamo anche a sentirne l’odore, la consistenza, il sapore.
Cosa stiamo apprendendo con questi nuovi sensi?
Che l’essere umano ha modificato gran parte del territorio terrestre: sembra che nel 2020 i cambiamenti apportati dalla presenza umana abbiano superato la biomassa. Al di là delle variazioni geofisiche, ci sono conseguenze anche sull’habitat. Per esempio, abbiamo rilevato che le monocolture comportano una maggiore possibilità di sviluppo e diffusione di virus. La Terra ha sempre provato a rimettersi in equilibrio per compensare i fenomeni meteorologici. Si pensi a un’eruzione vulcanica: è una sciagura, ma qualche anno dopo ricrescono le piante, la natura riesce a compensare la distruzione. Nel momento in cui siamo rimasti tutti a casa per il Covid, è stato confortante rivedere le balene vicino alla costa nel Mediterraneo e i delfini nel Tamigi. La natura prova a riprendere vita, solo che i cambiamenti che stiamo imponendo al pianeta sono più veloci dei tempi di compensazione che può avere una Terra già ferita. Eppure grazie ai nostri nuovi sensi riusciamo a vedere come la povera Terra stia reagendo e stia tentando di difendersi.
Le esplorazioni spaziali per progetti di insediamenti extra-terrestri sono collegate alla crescente coscienza dei rischi che la crisi climatica porta alla vita umana sulla Terra?
Mi auguro di no, perché è meglio vivere sott’acqua che su Marte o sulla Luna. Sono sicuramente luoghi interessanti per tutta una serie di tematiche scientifiche: com’è giunta la vita sulla Terra, perché Marte si è evoluto in una certa direzione… La luna possiamo usarla anche come laboratorio orbitante, con una stazione spaziale dove condurre una serie di studi, come quello sull’influenza dello spazio profondo sull’organismo umano. Ma sono dei postacci! Se l’umanità in qualche maniera sta pensando: che me ne frega, mi preparo e quando qui avrò distrutto tutto e me ne dovrò andare sbarcherò sulla Luna o su Marte, ha fatto male i conti, purtroppo. Perché prima di tutto significherebbe vivere isolati, in camere stagne. Sarebbe come vivere su un aereo, con spazi limitati. E soprattutto altereremmo l’evoluzione: l’essere umano si è evoluto per stare sulla Terra. Mentre è importante scoprire come siamo nati e cresciuti, perché siamo qui e se c’è qualcun altro da qualche altra parte, sarebbe una grave sconfitta e un atto di grave irresponsabilità pensare di andare sulla Luna, su Marte, su un altro corpo celeste o su una stazione spaziale perché abbiamo distrutto il pianeta Terra.
Trovare un altro pianeta ospitale è fantascienza?
Siamo sicuri che qua attorno non c’è. E mentre la fisica, che vale a Roma come a New York, vale anche nella galassia di Andromeda, per la biologia, un frutto delle condizioni per cui oggi siamo sulla Terra, e quindi c’è il verde, il mare, stiamo crescendo in altezza, la nostra vita dura di più rispetto agli antenati, non è così. Nel momento in cui dovessimo trovare un pianeta (che, garantisco, non sta dietro la porta, ma ci vorranno centinaia di anni per arrivarci) dobbiamo comunque augurarci che abbia esattamente le condizioni che abbiamo sulla Terra, perché altrimenti ci vorranno gli scafandri e le camere pressurizzate.
Non sembra una prospettiva invitante.
L’idea di fare esplorazione spaziale come extrema ratio perché abbiamo distrutto il pianeta Terra è un po’ come fare un matrimonio con l’atto di divorzio in tasca. Non sto dicendo no all’esplorazione spaziale: è naturale porci domande scientifiche. Ci chiediamo da millenni perché qui ci sono acqua e ossigeno e altrove no. Le domande sono sempre le stesse e le risposte si evolvono, cambiano la tecnologia e la maniera di porsele. Ma se abbiamo distrutto la Terra dobbiamo fare la fine dei topi, perché non ci meritiamo di andare a inguaiare un altro pianeta.