13 Giu 2025
L’emergenza climatica ci sfugge dalle mani
Il comico di Tre uomini e una gamba è diventato un portavoce di sostenibilità con un milione di follower
Intervista a GIOVANNI STORTI
Nel film Tre uomini e una gamba lei è protagonista di una scena iconica e forse anche involontariamente metaforica. Raggiunge la riva di un torrente con la scultura di legno della gamba, vuole lavarla perché un cane ci ha fatto la pipì sopra. Le suona il cellulare che le scappa di mano, per recuperarlo al volo perde la gamba che finisce in acqua e se ne va con la corrente. Mentre rispondevamo all’ennesima chiamata ci è scappata la situazione climatica di mano e ora ci troviamo a inseguirla senza sapere se riusciremo a recuperarla?
(Ride) Bella metafora. E’ proprio così: ci siamo distratti e continuiamo ad essere distratti. A causa della nostra distrazione continuiamo ad inseguire i veri scopi, le cose belle della vita. Siamo troppo presi dalle cose materiali e dalla tecnologia. In questo modo la situazione ambientale e climatica ci è scappata di mano.
Come è nata la sua attività a favore della sostenibilità?
Sin da bambino ho sempre vissuto per la natura. La sostenibilità è insita in me. Quando non c’era la scuola, passavo l’estate in montagna, sulle Alpi lombarde sopra Lecco. Siccome non avevamo la macchina, prendevamo il treno, poi la corriera, e infine facevamo qualche km a piedi per arrivare in questo posto che oggi si raggiunge in auto in meno di un’ora. Sono cresciuto con la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità, ma questo non deve rimanere solo un pensiero: deve incarnarsi, lo devi sentire con il corpo. Se lo pensi e basta, rimani troppo distaccato. Azzardo: è come una conversione, a questo cambiamento deve partecipare tutto l’essere.
Quando ha avviato il suo tentativo di comunicare i temi della sostenibilità in modo diverso?
Durante il lockdown. Io e mia moglie siamo rimasti in campagna da soli, era una bellissima primavera nonostante il Covid, attorno a me c’era questa esplosione di natura. Ho voluto raccontarla attraverso la mia pagina Instagram, rendere partecipi anche gli altri di quel che stava succedendo. Poi con il tempo l’ho codificata, ho aperto un canale, e la pagina è diventata quel che è oggi.
Quest’anno è andato oltre: ha lanciato Immedia, una piattaforma social dedicata alla sostenibilità.
Negli anni la mia attività mi ha portato a conoscere scienziati come Stefano Mancuso, persona eccezionale, Mario Tozzi, Luca Mercalli, che conoscevo da “Che tempo che fa”, Telmo Pievani, una persona squisita. E quindi ho lanciato l’idea: “Perché non uniamo le forze? Voi siete scienziati, quindi avete autorità, io invece sono un giullare. Insieme possiamo potenziare la nostra comunicazione in materia di sostenibilità”. Abbiamo incluso anche una biologa, cerchiamo di allargare il campo per comunicare in modo più scientifico il cambiamento in atto. Ora cerchiamo aziende che si approcciano all’attività in modo consapevole e circolare. Uno dei nostri progetti riguarda, ad esempio, il ripopolamento ippico contro la pesca intensiva.
Chi lo porta avanti?
Paolo Fanciulli, detto “il pescatore” di Talamone, davanti all’Argentario. Un personaggio conosciuto in tutto il mondo per la sua lotta alla pesca a strascico, che è un vero disastro: crea morte e distruzione sui fondali. Siccome i controlli erano troppo blandi, Paolo ha iniziato a difendere il fondale tagliando le reti dei pescatori di frodo. Così facendo, è riuscito a coinvolgere le istituzioni. E ha avuto un paio di idee geniali: affondare blocchi di cemento in mare con dei ganci di metallo per bucare le reti e impedire ai pescatori illegali di usare quella tecnica distruttiva. Ha ricevuto in regalo da Carrara cento blocchi di marmo che lui ha fatto scolpire da artisti di tutta Europa: ha creato un vero e proprio museo sottomarino. In questo modo è riuscito ad unire l’arte all’attivismo.
Più di recente ha lanciato la campagna “Diamo una casa al polpo” con l’obiettivo di posizionare in fondo al mare delle anfore per ospitare i polpi che vengono pescati (anch’essi) in modo distruttivo e che stanno rischiando di estinguersi nel Mediterraneo. Questo avviene perché vediamo gli animali solo come cibo e non come nostri coinquilini di questo mondo…
Per raccontare la storia di Paolo sono venute troupe dal Giappone, si è mossa anche la BBC e persino Di Caprio si è interessato a lui. E’ un attivista incredibile: nonostante mille difficoltà, ha trovato soluzioni e ha inventato un meccanismo che si potrebbe esportare dappertutto.
Secondo lei, il cambiamento climatico viene comunicato male?
Si fatica a far capire che le nostre più piccole azioni possono veramente determinare l’economia. Se, per esempio, non comprassimo carne da allevamenti intensivi, ne mangiassimo di meno, sostituissimo un po’ alla volta le proteine animali con quelle vegetali, che costano meno e consumano meno acqua, potremmo avere un impatto importante. E’ un’assurdità che il 70% delle aree coltivabili siano destinate a dare cibo agli animali da allevamento. Poi ci dicono che bisogna aumentare la quantità di concimi chimici per produrre di più. No, bisogna solo essere più accorti. Ancora oggi l’80% degli aiuti economici dell’Unione europea va alle grandi aziende che si occupano di allevamenti e colture intensive.
Lei ha cambiato alimentazione?
Sì, io e mia moglie non siamo vegani o vegetariani, ma mangiamo poca carne, una volta alla settimana, acquistando la dove siamo sicuri della provenienza. Per quanto riguarda il pesce, pochi sanno che il povero Mediterraneo non riesce a rigenerare la sua popolazione ittica. E che il mangime del pesce allevato è lo stesso che danno ai polli e alle mucche. Come diceva Gramsci, “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”: il mio intelletto è pessimista, però il mio cuore è ottimista. Siamo alla frutta, veramente. Abbiamo una casa nel Monferrato e ogni tre temporali ce ne sono due devastanti che distruggono diverse piante. In Emilia in quindici mesi ci sono state tre alluvioni: non è mai esistita una cosa del genere. Il cambiamento è sotto gli occhi di tutti.
Con Stefano Mancuso ha lanciato il progetto “Le vie degli alberi” e un appello a sindaci e assessori: “Togliete l’asfalto dalle strade e sostituitelo con le piante!”. Qualcuno ha risposto?
Nessuna risposta, ma andremo noi a parlare con gli assessori, specialmente a Milano dove ci sono 1.700 chilometri di strade! Secondo me troveremo qualcuno che ci ascolta, anche se la burocrazia è impressionante, veramente faticosa. Il problema è che la gente vuole andare in macchina anche in città. Io l’auto ce l’ho ma la uso solo per andare in campagna. E’ incredibile voler utilizzare per forza l’auto, in città è un vero vizio e non una libertà. Per che cosa, poi? La velocità media è di 17 chilometri all’ora, si va più veloci in bicicletta!
Per approfondire (suggeriti da Giovanni Storti)
LIBRI
Jonathan Safran Foer Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali? Guanda 2010
FILM
E noi come stronzi rimanemmo a guardare – di Pif 2021
