26 Nov 2021

L’albero, la nostra casa

Da sempre fonte di protezione e di risorse, l’abbiamo quasi distrutto, oggi ne scopriamo un aspetto nuovo: quello circolare

Intervista ad Antonio Pascale

Chiedete di disegnare un paesaggio. Che i disegnatori siano occidentali, orientali, del nord o del sud del mondo, una schiacciante maggioranza di loro (oltre il 90%) disegnerà gli stessi elementi grafici. A parte la montagna sullo sfondo, il ruscello che scorre verso l’orizzonte, il nostro pittore disegnerà, e sempre in primo piano, un bell’albero. Uno di quelli frondosi e che si biforcano. C’è di più: chi guarderà il disegno siffatto, occidentale o orientale, del nord o del sud del mondo, dirà che sì, è semplice, elementare ma è proprio un bel paesaggio. Se poi gli chiedete di salvare un elemento del disegno indicherà l’albero.

Ora, probabilmente il disegno riflette un paesaggio inconscio, quello che ci portiamo dietro dal Paleolitico, quando eravamo cacciatori raccoglitori, tuttavia, cosa da non sottovalutare, salviamo l’albero perché lo consideriamo un bene primario, allora e ora.

Sì, perché allora sugli alberi ci rifugiavamo e dall’albero partivamo per le battute di caccia, lungo il fiume, verso le montagne sullo sfondo.

Allora l’albero era in primo piano per questioni di sopravvivenza spicciola, ma anche ora lo scegliamo. Saranno i ricordi del tempo che fu, sarà perché da bambini abbiamo sognato una casa sull’albero, sarà questo o altro, ma credo che intuiamo a livello profondo l’importanza dell’albero: è stata e sarà la nostra casa.

Sì, perché su questa casa abitiamo tutti. A parte che è una centrale energetica, come benzina usa la CO2 e come risultato produce ossigeno (la nostra benzina), a parte questo fondamentale aspetto, è una casa multiuso, che non finisce mai di produrre per noi beni e servizi, tanti e variopinti. Una grande casa, collettiva, interrazziale, interclassista.

Tuttavia, di questa casa ignoriamo un aspetto. Se siamo a conoscenza dei beni e i servizi che produce, ignoriamo la forma che questa casa può assumere: quella circolare. Quindi, entri da una parte, esci dall’altra e rientri al punto di partenza. Ciò significa che i prodotti possono essere usati ma soprattutto ri-usati. Su questo aspetto vale la pensa insistere e concentrarci e applicarci. Esempio. Prendiamo un albero, o meglio, un tipo di casa che tutti noi abbiamo in mente, perché molto diffusa: la Quercia. Se non conosciamo gli alberi e vediamo una pianta solitaria in mezzo alla campagna, vicino una casa colonica, ai bordi dei campi, ci possiamo buttare a indovinare: è una Quercia.

Non sbagliamo nel 90% dei casi. Anche perché la Quercia se ne sta lì a braccia aperte sotto il sole, ama la luce, spesso non tollera l’ombra, tuttavia, si adatta a vari tipi di terreno, a volte frugali, in quel caso risparmiano sull’altezza, vedi la Roverella (Quercus pubescens) o il Cerro.

Il genere Quercia ha varie specie, ognuno con un simbolo appropriato. La Farnia, Quercus Robur, è un simbolo di forza, Robur, dal latino forte. Ma anche simbolo di maestosità, come il Farnetto (molti degli alberi monumentali, chiamati patriarchi, sono delle Querce). Nonché aristocratico: molti rami araldici hanno come simbolo la Quercia, come quello della famiglia delle Rovere con i suoi papi, Sisto V e Giulio II.

Se restiamo sul pratico e facciamo un quiz: il nome di un prodotto che si ricava dal legno di quercia? Pro- babile che ci diranno: certo, il sughero. Leggero, impermeabile, galleggia, non trasmette calore e antico: i sandali dei romani erano di sughero. E moderno: sono di sughero pure i galleggianti delle reti, i turaccioli per bottiglie e pannelli isolanti per suono e calore. E poi, ovvio, col sughero si costruiscono montagne per il presepe.

Poi qualcuno ricorderà il carbone (e le carbonaie). Se appunto di quercia o di faggio era definito carbone forte, se di pioppo, ontano o salice era definito carbone dolce. Senza carbone non avremmo potuto raggiungere temperature elevate (nella legna da ardere c’è troppa acqua). Ma non solo di fuoco si parla. Dal legname d’ontano si ricava un carbone che veniva impiegato per la produzione di polvere da sparo, mentre l’abete e il pino erano ricercati per la produzione di catrame, fondamentale per la impermeabilizzazione delle imbarcazioni.

Gli alberi e i suoi prodotti sono stati per noi, fino dai nostri primi passi, casa e strumenti per accrescere la casa. Anche se nei secoli, con la nostra consueta sbadataggine, abbiamo quasi distrutto la nostra casa. Ma fin qui, siamo nell’ovvio, nel noto: non per niente, alcuni prodotti, diciamo così, specialità primarie della casa, sono più o meno conosciuti. Quello che ancora ignoriamo è, appunto, l’altro aspetto, la nuova potenzialità della nostra casa comune. La circolarità.

Vediamo. C’è un’ampia costellazione di industrie italiane, una lunga filiera, efficiente, innovativa e competitiva, presente da Nord a Sud del paese, una filiera composta da un gran numero di lavoratori, dagli addetti delle 400 piattaforme di raccolta legno, agli operai, insomma una costellazione che lavora e promuove l’economia circolare: prima utilizzare il legno, poi ridurlo di volume, trasportarlo alle industrie di riciclo, rimodellarlo e cambiargli la destinazione d’uso. Quindi, diciamo così, dai prodotti primari della casa, e sì, anche le cassette di legno, i pallet, le bobine, i turaccioli per bottiglie, oggetti considerati poveri e che tuttavia poveri non sono (contengono ancora vita), nascono nuovi materiali. È possibile perché, a fine di un ciclo, le aziende riciclatrici (riunite in consorzio), raccolgono gli scarti di prima e seconda lavorazione del legno, quelli derivanti dai processi di costruzioni e demolizioni edili, ma anche i rifiuti ingombranti, come mobili e infissi, provenienti dalla raccolta differenziata urbana e tutta questa materia viene fatta rivivere.

Ed ecco allora la rinascita, il secondo ciclo, la trasformazione: i pannelli truciolari e quelli tipo mdf, ancora in pasta chemimeccanica per carta e cartoni, ma anche in compostaggio (l’imballaggio di legno viene ridotto in compost o terriccio).

Forse, la nostra vecchia, ancestrale casa, ci ha sussurrato e consegnato un messaggio: cercate il legno, ovunque sia finito, nei luoghi oscuri e lontani e riportatelo a casa, trasformatelo, ripulitelo e rendetelo di nuovo utile. Perché siamo in tanti in questa casa, quasi 8 miliardi, diventeremo sicuro 10 e a breve, in meno di vent’anni. Se vogliamo vivere bene e tutti dignitosamente è necessario sì utilizzare i prodotti della casa, ma soprattutto recuperarli e di nuovo utilizzarli. Riciclare il legno, infatti, significa risparmiare energia, migliorare lo stato qualitativo dell’aria e al contempo evitare gli sprechi. Così facendo, fra cento anni, con più forza e consapevolezza continueremo a disegnare quel semplice paesaggio che vede l’albero in primo piano e che tutti, da Oriente a Occidente, da Nord a Sud, spontaneamente e senza tentennamenti, giudichiamo bello.


Antonio Pascale, giornalista e scrittore, vive a Roma, scrive per il teatro e la radio, collabora con Il Mattino, Il Post, Lo straniero e Limes.

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