30 Lug 2021

La vita del legno

Finora il legno ha sempre avuto una funzione strutturale ed energetica. Oggi possiamo trasformarlo in un nuovo tipo di batteria di Maurizio Masi

Intervista a Maurizio Masi

Fin dalla preistoria il legno ha avuto per l’uomo due funzioni: una strutturale, l’altra energetica. L’abbiamo sempre utilizzato per costruire svariati manufatti, e bruciato per avere calore e energia. Nel terzo millennio possiamo aggiungerne una terza, allungargli la vita trasformandolo in qualcosa di diverso: un nuovo tipo di batteria. Ma torniamo per un attimo all’uomo delle caverne: lui aveva la foresta accanto, noi invece in Italia abbiamo un enorme problema di logistica. Spostiamo tonnellate di legno da una parte all’altra del paese, inquinando con i trasporti. E dire che il legno dal punto di vista delle emissioni di CO2 sarebbe neutrale: l’albero cresce, consuma CO2 e al momento della morte come tutti gli organismi viventi lo restituisce. Per allungare l’equazione d’uso del legno, già oggi si prende il manufatto a fine vita per farne truciolato.

Ma c’è anche un’altra possibilità. Il legno è una biomassa e lo si può facilmente trasformare in biocombustibile liquido, che in quanto tale possiamo gestire con grande facilità. Siamo la società che siamo perché abbiamo a disposizione combustibili liquidi. Non dimentichiamo che il fatto di avere un distributore di carburante almeno ogni 50 chilometri dà una libertà enorme.

La trasformazione del legno di scarto in biocombustibile si può fare in diversi modi, ma il processo che si sta affermando è quello di gassificazione. Si fa combustione in difetto stetometrico, cioè con meno aria di quella che sarebbe necessaria, e si produce così un gas particolare che si chiama gas di sintesi. È quello che un tempo era il gas di città, che si otteneva seconda guerra mondiale. La combustione si ferma prima che diventi completa, ottenendo così una miscela di monossido di carbonio e idrogeno, mentre la combustione totale produce anidride carbonica e  acqua.

Il gas di sintesi che si ottiene è un asset che ha un grande valore. Può essere immesso in un motore endotermico per produrre energia elettrica: va bene, si può fare e già si fa, però non è il futuro. Il futuro è trasformare questo gas in combustibile liquido. Per farlo ci sono tante reazioni chimiche possibili, come quelle che portano a metanolo o a dimetiletere (un composto gassoso facilmente liquefacibile, perfetto come combustibile per i motori diesel). È la linea che sta seguendo una nota casa automobilistica per i camion: basta modificare il sistema di iniezione, e tutti i motori a gasolio possono andare a dimetiletere, come fosse gpl. Il che significa poter utilizzare tutta la rete di distribuzione del gpl. Inoltre il dimetiletere fa pochissimo particolato, e quindi risolve tanti problemi di inquinamento che affliggono oggi i motori diesel.

Oppure si può utilizzare una sintesi messa a punto dai chimici tedeschi durante la seconda guerra mondiale. La Germania non aveva petrolio ma aveva il carbone, i chimici Fischer e Tropsch, con la reazione chimica che prese il loro nome, misero a punto un processo che produceva un ottimo diesel usando carbone come materia prima. Gran parte di quello che oggi viene etichettato come green diesel viene da questa via, è un diesel senza zolfo, molto pulito. Tutto questo lavoro per fare il gasolio per le automobili? No.

Se guardo al futuro, con ogni probabilità i veicoli non andranno più prevalentemente a carburante liquido come oggi, si diffonderà l’elettrico. Ma il trasporto aereo non andrà mai a batteria, e altri carburanti come l’idrogeno danno grandissimi problemi di sicurezza: il disastro del dirigibile Hindenburg se lo sono dimenticato tutti… Con la sintesi di Fischer- Tropsch posso fare anche il jet fuel, che no è altro che un diesel leggermente più leggero. Con il legname recuperato da Rilegno solo in Sicilia, 50mila tonnellate all’anno, si potrebbe per esempio fare biofuel per 65mila ore di volo di un Airbus, il 10% delle ore di Alitalia prima della pandemia. Un modo per dare nuova vita a questo legname, con una visione che però è… ancora un po’ antica.

Quella più innovativa è vedere i biocombustibili come una batteria. Le energie rinnovabili le utilizzo finché c’è sole o vento, e nel momento in cui non ci sono ho una batteria che mi dà l’energia: un’equazione perfetta. L’unico problema è che le batterie elettriche sono difficili da ricaricare, perché se le ricarico in modo veloce le danneggio molto. Sono il solo vero limite dell’auto elettrica, il resto ormai è tutto perfetto. Di qui l’idea del biocombustibile come nuova batteria: in fondo quel che ho fatto è stato immagazzinare energia presa dal sole, perché la fotosintesi clorofilliana l’energia la prende dal sole; e la posso utilizzare nel momento in cui mi viene a mancare la corrente elettrica.

La trasformazione del legname in biocombustibile avviene con le bioraffinerie, che sono in grado di utilizzare anche altri tipi di rifiuti. Il nuovo slogan che sta emergendo in Europa è From waste to chemistry, trasformare i nostri rifiuti in prodotti chimici. Sta avvenendo dappertutto. Qualche giorno fa la Total ha completato la trasformazione di una raffineria vicino a Parigi in bioraffineria, che va totalmente a rifiuti. Anche in Italia alcune raffinerie Eni si stanno già trasformando in bioraffinerie: Taranto, Livorno, Gela e Marghera dovrebbero diventare tali. altri grandi attori energetici come Bp e Shell stanno seguendo piani analoghi.

Quel che sta accadendo insomma è che tutto lo scarto della società viene trasformato in gas di sintesi, e dal gas di sintesi faccio qualsiasi cosa, dal biocombustibile al prodotto chimico. Considerato che in Europa consumiamo in media 1000 kg di combustibile fossile e produciamo circa 5000 kg di rifiuti (urbani e industriali non minerari) per persona all’anno, con un rendimento di circa il 20% i rifiuti sono più che sufficienti per permetterci di non estrarre più combustibili fossili. È qualcosa che ci accompagnerà nella transizione verso un mondo decarbonizzato da qui al 2050.

Tornando al legno di recupero, è uno scarto pregiato, perché è una biomassa che ha solo il 20% d’acqua. E si presta a fare filiere locali. Tutto il legno che raccolgo per esempio in una grossa fattoria potrei trasformarlo in dimetiletere per alimentare tutti i trattori. Ci sono infatti anche dei piccoli impianti di trasformazione, che stanno in un container. In questo modo si supererebbe il forte impatto inquinante e i costi della logistica, del trasportare il legname dal sud al nord per fare truciolato. Sarebbe bello coinvolgere in questa gestione locale del ciclo del legno le comunità rurali, per dare loro redditi alternativi in zone che si stanno impoverendo. Queste tecnologie possono anche essere trasferite facilmente nei paesi in via di sviluppo: penso all’Africa, e alla possibilità di rendere i villaggi autonomi con un mix di energia elettrica da fotovoltaico e batteria di biocombustibile prodotta con gli scarti. Il legno, insomma, ha una nuova possibilità. Serviva a scaldare l’uomo primitivo. Noi ne faremo la nostra nuova batteria energetica.


Maurizio Masi è professore ordinario di Chimica fisica applicata presso il Dipartimento di chimica, materiali e Ingegneria chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano.

Sfoglia WALDEN, il mondo sostenibile di Rilegno qui: 


Rimani aggiornato

Vuoi sapere di più sul mondo del legno?

Rimani aggiornato