06 Ott 2023

La Terra che ho visto dallo spazio

Il nostro pianeta non è fragile, è capace di rigenerarsi: siamo noi a rischiare di non poterlo più abitare se cambiano le condizioni che ci permettono di essere qui

intervista a Paolo Nespoli

Com’è la Terra vista da una stazione spaziale?

Se il turismo spaziale diventerà un’esperienza che molti vorranno fare, sarà per sperimentare una situazione di assenza di gravità e per guardare la Terra da una prospettiva diversa. Quando siamo sulla Terra è come se avessimo il naso appiccicato a un dipinto e cercassimo di leggerlo da una prospettiva molto ravvicinata; vedremmo i dettagli microscopici, le pennellate, ma perderemmo la visione di insieme. Nello spazio ci si apre questa visione di insieme. Capiamo che la Terra è un minuscolo pezzettino di universo, un granello di sabbia tra tutti i granelli di sabbia di tutte le spiagge di tutto il mondo; e ci rendiamo conto che la Terra ha dei ritmi completamente diversi da quelli a cui noi razza umana siamo abituati. L’idea che la Terra è fragile a parere mio è vera e non è vera.

La Terra affetta dal global warming vista dallo spazio non è fragile?

Anche se bruciassimo tutto, non sarebbe la Terra a sparire dall’universo. Probabilmente saremmo noi esseri umani, con tutte le specie viventi, a sparire dal pianeta, perché non ci sarebbero più le condizioni per mantenerci in vita. La Terra non si distrugge, cambia: ma se diventa arida, tutta una serie di problemi legati al cambiamento di temperatura potrebbero portare alla nostra estinzione. È a questo che dobbiamo stare attenti. Le ere che caratterizzano la Terra durano migliaia di anni. Se anche dovessimo usare tutte le risorse del pianeta, la Terra tra due, tre, quattro milioni di anni – poca roba per la vita sul pianeta, un po’ come due secondi nostri – rifarebbe tutto da capo. La domanda è: ci saremo noi, o no? Lo spazio ti fa capire che noi alla fine siamo molto piccoli rispetto all’universo e che la Terra ha dei cicli di vita che sono completamente fuori dalle nostre capacità anche solo di comprensione: ha 4,5 miliardi di anni, una durata per noi impossibile da immaginare.

Che altro si scopre sulla Terra da una stazione spaziale?

Dallo spazio non si vedono i confini tra le varie nazioni, o quantomeno è molto difficile vederli. Invece si vede un altro confine molto netto, quello dell’atmosfera. Impieghiamo tante energie per controllare i confini nazionali, cosa giusta, e non mettiamo le energie necessarie e sufficienti per gestire tutti assieme questo divisorio che ci separa dal vuoto dell’universo. Possiamo controllare chi entra e chi esce dalla nostra nazione, ma se non facciamo lo stesso con quello che buttiamo nell’atmosfera ci facciamo male tutti assieme. Una volta che vai nello spazio, l’appartenenza a una nazione diventa un po’ offuscata: ti senti un essere umano fuori dalla tua casa, che è la Terra, non l’Italia. Sei orgoglioso di essere italiano, americano, russo, giapponese, ma quel che più conta è il fatto di trovarsi tutti assieme uniti come esseri umani fuori dal mondo per fare qualcosa che pensiamo sia utile per tutta la specie umana.

Come si lavora in modo efficace nello spazio?

Si devono mettere insieme tutte le risorse e le capacità, assegnare dei ruoli, che dovrebbero essere legati a quello che ciascuno riesce a fare al meglio, e lavorare in team fidandosi degli altri. Lavorare in team senza la fiducia, senza pensare che gli altri abbiano capito il ruolo che devono svolgere e lo svolgano bene porta alla caduta del team. Non è facile. Decidere qualcosa che ha a che vedere con la stazione spaziale internazionale vuol dire mettere quindici persone intorno a un tavolo. La democrazia è molto più costosa della tirannia. In democrazia tutti decidono e arrivare a delle conclusioni che soddisfano tutti è complesso. Ma anche nazioni non tanto amiche sulla Terra, come Stati Uniti e Russia, nello spazio lavorano insieme per il bene comune e cercano di ottenere dei risultati che servono a tutti. Questo è un risultato importante della stazione spaziale internazionale, tanto quanto i risultati scientifici che si possono ottenere. Dimostra che quando vogliamo noi esseri umani riusciamo a lavorare insieme per qualcosa che serve a tutti.

Succederà anche sulla Terra per quanto riguarda il lavoro da fare contro il climate change?

Ogni giorno che ci rendiamo conto che qualcosa non quadra, che stiamo usando le risorse del pianeta senza fare i conti con la sostenibilità. Quando bruciamo il petrolio, tagliamo le foreste o buttiamo la plastica in mare risolviamo un problema del momento, senza pensare che più avanti il problema potrebbe tornarci indietro. Oggi ce ne stiamo rendendo conto, ma forse i cambiamenti che abbiamo innescato sono arrivati a un punto in cui non è più possibile fermarli. Il problema è che sulla Terra siamo diventati veramente tanti. Probabilmente non è più possibile continuare ad avere il tenore di vita come quello di noi occidentali e garantire che tutti possano averlo. Dobbiamo trovare il modo di impattare il meno possibile sull’ambiente e cercare di cambiare quello che abbiamo fatto fin qui.

Alla luce della sua esperienza è ottimista?

Capisco che la situazione è complicata. Non è facile attribuire con esattezza i cambiamenti che oggi misuriamo e vediamo a un comportamento della specie umana o a un comportamento ciclico della Terra. La Terra si riscalda, ma nei secoli e nei millenni passati ha fatto questo cambiamento parecchie volte. Quello che oggi percepiamo come un cambiamento dovuto a noi esseri umani potrebbe non essere completamente tale: ma di sicuro lo stiamo influenzando e potrebbe portare a un venir meno delle condizioni che ci permettono di essere sulla Terra. Lo spazio ci permette di essere più scientifici in questa analisi: abbiamo i satelliti che misurano esattamente tutte le condizioni del pianeta, ci fanno vedere la temperatura degli oceani, il grado di deforestazione e così via, dati che possono essere analizzati e valutati. Su quei dati dobbiamo lavorare, analizzandoli per capire se si tratta di un cambiamento “normale” o di qualcosa che abbiamo innescato noi. Io penso che siamo responsabili dell’inasprimento di alcuni cambiamenti che sono “naturali”. Col nostro utilizzo delle risorse e con il buttare nell’atmosfera una serie di composti che prima non c’erano, stiamo sicuramente sicuramente influenzando questi processi in peggio.

Secondo lei non è detto che il climate change sia dovuto soltanto all’uomo?

Da ingegnere direi che non abbiamo abbastanza dati e conoscenze per avere una risposta precisa a questa domanda. Non sono scettico, sto solo dicendo che non si tratta tanto di sapere di chi è la colpa, quanto di capire perché queste cose succedono e come tornare indietro. Quando prendo un aereo e vado da Milano a Houston, l’ammontare di emissioni che l’aereo butta in atmosfera è forse equivalente a quello generato da tutta la civiltà romana duemila anni fa. Abbiamo milioni di auto che bruciano derivati del petrolio e immettono nell’atmosfera composti chimici deleteri. Ma l’alternativa qual è: non andiamo da nessuna parte, non compriamo più auto? Noi esseri umani stiamo cambiando il nostro pianeta, non è chiaro come lo stiamo cambiando e dove andremo, anche se guardando i dati oggi sembra che ci stiamo infilando in un vicolo cieco. Non sarebbe male spaventarci come genere umano e, invece di fare le guerre o intraprendere altre azioni che inaspriscono la situazione, focalizzare tutte le nostre attenzioni ed energie per capire i problemi e cercare di risolverli. Un po’ come avviene nella stazione spaziale internazionale: lassù non è tutto oro, non è tutto perfetto, ma si fa un passo nella direzione giusta.

Paolo Nespoli è stato astronauta dell’Agenzia spaziale europea (Esa) per quasi trent’anni, di cui venti distaccato alla Nasa a Houston. Ha votato nello spazio per tre volte e ha vissuto per 313 giorni sulla Stazione spaziale internazionale. Oggi si dedica a riportare a terra, nel campo educativo e professionale, le sue esperienze spaziali e non. È autore di diversi libri, tra cui Farsi spazio e L’unico giorno giusto per arrendersi

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