20 Set 2024

La copertura arborea come soluzione

Ridurre le strade e aumentare la forestazione può contribuire alla riduzione di CO2

Intervista a STEFANO MANCUSO

Professor Mancuso, la sua ricetta è semplice e radicale: forestiamo le aree urbane e copriamo le superfici edificate con un manto verde. Poteva sembrare la soluzione di un utopista, invece i sindaci le hanno dato ragione. Com’è successo?

Quella di forestare tutte le aree urbane disponibili, alla lunga, è una soluzione la cui efficienza è apparsa evidente a un numero sempre crescente di persone. Il problema del riscaldamento globale è legato essenzialmente alla produzione di anidride carbonica, che è prodotta all’80 per cento dalle città, che a loro volta rappresentano soltanto l’1,6 per cento della superficie del pianeta. Quindi era ovvio che dovessimo lavorare sulle città per ridurre la CO2. La politica che si è seguita fino ad oggi, quella di cercare di ridurre le emissioni, è corretta, però di fatto non sta funzionando. Cerchiamo di ridurre le emissioni, ma in realtà ciò che vediamo anno dopo anno è che l’anidride carbonica aumenta: ogni anno produciamo più anidride carbonica dell’anno precedente. Credo che prima di poter davvero vedere delle significative riduzioni nelle emissioni dovranno passare dei decenni: un tempo che non abbiamo a disposizione. Dobbiamo recuperarli da qualche parte, per questo nasce la proposta della copertura arborea delle nostre città. C’è qualche cosa di strano e di particolare che riguarda le città: il fatto che dovunque esse sorgono, a qualunque latitudine, le similitudini sono maggiori delle differenze. Una città è sempre una città dovunque sorga. In funzione del clima e delle latitudini, gli interventi con le piante dovrebbero adattarsi ai luoghi, ma di fondo le strategie sono sempre le stesse. Come si può fare questo? In parte de-impermeabilizzando, cioè eliminando copertura da parte della città. Sono un forte fautore, negli ultimi tempi, della necessità di rimuovere una parte significativa delle strade. Le città hanno una superficie enorme dedicata alla viabilità. Penso che si potrebbe immaginare una riduzione fra il 30 e il 40 per cento della superficie dedicata alle strade negli ambienti urbani, dedicando la superficie ricavata a parchi e arborei. Avremmo fatto un bel passo avanti. Molte archistar hanno percepito per tempo che la questione ambientale è cruciale per le città, e quindi hanno cominciato a progettare edifici coperti di piante. Ma è chiaro che una città non è fatta di questi edifici simbolo, bensì di edifici normali, di strade, di piazze, di supermercati, di biblioteche, di quella miriade di edifici costruiti senza l’apporto, diciamo di nessun grande architetto, che coprono l’intera superficie della città. Vanno bene i grandi architetti, perché in questa maniera diffondono l’idea che le piante debbano entrare nelle città, ma poi questo deve diventare veramente patrimonio di ciascuno. E soprattutto le amministrazioni dovrebbero fare dei regolamenti che obblighino chiunque voglia costruire a mettere anche del verde: in un parcheggio, lungo le strade, nei crocevia, sulle mura degli edifici, sui tetti, nei distributori di benzina, dappertutto, in modo che si sappia come e quanto verde è possibile mettere. Negli ultimi anni la necessità di riforestare è diventata evidente a molte amministrazioni, le quali, alcune in buona fede, altre meno, hanno cominciato a cavalcare anche quest’onda.

Lei non avverte una certa tendenza a fare della forestazione urbana una password, qualcosa che assomiglia a un greenwashing municipale?

Chiunque pianti un albero sta facendo una cosa buona, però le amministrazioni hanno un compito in più: non basta metterli gli alberi, vanno anche manutenuti, soprattutto per i primi tre – quattro anni. Altrimenti si rischia che la maggior parte degli alberi che si mettono a dimora poi muoiano, e questo è purtroppo quello che sta accadendo in tanti luoghi d’Italia, ma direi anche del mondo. Si parte con delle grandi operazioni anche mediatiche di piantumazione diffusa per tutta la città. E poi, dopo un anno o due anni, gli alberi che sono rimasti in vita sono il 10 o il 20 per cento. Ecco, questo non va bene, è molto meglio piantare meno alberi ma assicurare una manutenzione negli anni successivi.

Cosa pensa dello scambio tra emissioni e forestazione? La compensazione è ancora un metodo accettabile?

La compensazione delle emissioni con interventi di riforestazione è un modo molto vago e molto difficile anche da afferrare. Se per compensazione si intende che un’azienda non si preoccupa di limitare le sue emissioni perché tanto sa che può compensare da qualche parte con delle piantagioni che poi non si sa bene quanto e come assorbono CO2 e se sono mantenute eccetera, direi che è una mezza truffa.
Se invece, per esempio, parliamo di compensazioni da legno, in questo caso penso che la cosa possa essere molto interessante. L’utilizzo di legno che proviene da foreste certificate, quindi coltivate in maniera sostenibile, in questo caso è proprio una compensazione di carbonio. Se si prende un albero che ha cinquant’anni e lo si taglia invece di aspettare che caschi per terra e ributti in aria tutta l’anidride carbonica che ha fissato, e lo si utilizza per fare, per esempio, materiali da edilizia che dureranno 50 o 100 anni, allora si sta fissando anidride carbonica per 50 o 100 anni. Questa è vera compensazione e dovrebbe essere calcolata in termini di crediti di carbonio.

Come valuta la carenza di sostanza legnosa prodotta in Italia? Importiamo legno per soddisfare un fabbisogno in crescita, soprattutto nel settore dell’edilizia.

Normalmente guardiamo alle piantagioni di alberi da legno come se fossero delle foreste o dei boschi. No, sono delle coltivazioni, così come coltiviamo il mais. Perché non si faccia confusione: io sono del tutto contrario a che si tagli un solo albero da una foresta o da un bosco originario. Sono invece incredibilmente favorevole a far sì che si coltivi e si metta a coltivazione di legno la maggiore quantità di terra possibile, perché questo legno ci aiuterà a combattere il riscaldamento globale.

Per approfondire i temi di questo articolo ascolta Ci vuole il legno – episodio 3: Capitali coraggiose, cui hanno contribuito anche Elena Grandi (assessora ambiente e verde del comune di Milano) e Dario Nardella

Stefano Mancuso è un botanico, docente ordinario all’Università di Firenze dove dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv). E’ autore di numerosi saggi tradotti in oltre venti lingue.

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