07 Mar 2024

In Italia vince il riciclo

Ma riuso e riciclo possono convivere, se ci sono flessibilità e capacità di adattamento. L’esempio virtuoso dei pallet e i limiti del regolamento Ue

intervista a MASSIMILIANO SALINI

Cosa pensa della proposta di regolamento europeo sugli imballaggi?

Non ci è piaciuto il passaggio da direttiva, che richiede il recepimento dello Stato membro, a regolamento, che invece una volta approvato è immediatamente esecutivo. Ma soprattutto, il testo tende a omologare in maniera identica i paesi membri. Il principale errore della Commissione è proprio quello di non aver tenuto conto degli enormi passi avanti, fatti soprattutto da alcuni paesi come l’Italia, nella riduzione dei rifiuti grazie al riciclo. Le differenze tra paesi vengono trascurate nella proposta di regolamento, che tende a livellare al ribasso, senza tener conto della spinta innovativa e tecnologica di paesi come il nostro, che ha raggiunto con anni di anticipo gli obiettivi fissati dalla direttiva riciclo.

Quali punti non la convincono?

Il principale elemento introdotto dalla proposta di regolamento è la trasformazione della strategia di riduzione dei rifiuti passando, soprattutto nel settore alimentare (fast food e horeca) dal riciclo come logica prevalente o più adeguata a quella del riuso. Questo si basa sul presupposto che il riuso punta alla diminuzione della quantità di imballaggi: se un bicchiere di plastica di un fast food viene lavato e riutilizzato, non lo si butta, e per la Commissione tale strategia sarebbe la modalità per ridurre i rifiuti. Il caso dell’Italia dimostra che non è la strada giusta: il monouso utilizzato nei fast food e nell’horeca è interamente riciclabile, a volte in percentuali insperate: dal 70 per cento in su. Il che significa che con il ricorso intelligente a tecnologie di riciclo, in maniera ambiziosa abbiamo ottenuto un risultato eccezionale.

Perché è meglio il riciclo?

La sicurezza alimentare dell’imballaggio è garanzia di freschezza e salubrità dei prodotti, ma al contempo l’utilizzo di imballaggi riciclabili permette di annullarne il rifiuto. È la miglior formula possibile e anche la più adatta allo stile di vita di oggi. Persone che avevano il tempo di prepararsi il pranzo o la cena oggi magari non ce l’hanno più e il ricorso a imballaggi molto performanti consente uno stile di vita salubre, riducendo drasticamente i tempi senza rinunciare alla tutela dell’ambiente, perché gli imballaggi sono interamente riciclabili. La decisione a favore del riuso è figlia della constatazione che su 27 paesi membri meno della metà ha accettato la sfida del riciclo. Anche stati membri molto forti come la Francia hanno performance di riciclo pessime. Di qui questa logica di omologazione. Ma non basta.

Che altro?

In Commissione Envi è stata proposta una definizione super restrittiva di “riciclo di alta qualità”, che porterebbe al cosiddetto “close loop recycling”, una versione più spinta del riciclo in grado di mettere fuori gioco intere filiere green come quella della carta, minacciando l’economia circolare europea, in particolare in paesi come l’Italia. Un prodotto che prima dell’utilizzo era una bottiglia, secondo questa visione, dopo il riciclo deve tornare ad essere una bottiglia. Questa sarebbe l’alta qualità del riciclo, ma anche in questo caso si tratta di un errore tecnico, poiché non si tiene conto delle enormi differenze tra i vari materiali. L’alluminio delle lattine, per esempio, è facilmente riciclabile in nuove lattine, ma nel caso della carta è sostanzialmente impossibile: un cartone dopo il riciclo diventa un fazzoletto o carta igienica. Qual è la ragione per la quale si dovrebbe adottare il “close loop recycling”? Quale la ratio tecnica? Se riciclo il cartone in carta igienica perché devo essere sfavorito? Ci sono tanti altri esempi, dal settore del trasporto a quello farmaceutico.

Contesta anche la tempistica?

La proposta di regolamento arriva a fine mandato dell’Europarlamento con una formula equivoca: è caratterizzato da tanti provvedimenti cari ai verdi che in realtà di verde hanno poco. Aumentano il grado di ideologia e quindi il fascino e la raccolta di consenso nel mondo green ma sono poco realizzabili, o se realizzati più che fare bene all’ambiente contraddicono altri provvedimenti presi dalla stessa Ue, che ogni anno cambia target. Ci sono imprese che si trasferiscono dove le regole restano più stabili. E’ un paradosso europeo, a volte le delocalizzazioni non sono determinate dai costi ma dalla ricerca di ambiti dove le regole durino più di un quarto d’ora: così Basf, campione mondiale della chimica, dalla Germania non si è spostata a Oriente ma negli Stati Uniti.

Bruxelles come Roma?

Ogni contesto ha le sue stranezze. L’ultima fase dell’Ue non ha il disordine tipico che vediamo nella produzione normativa italiana, che più che contraddittoria è disordinata e lenta; il problema italiano è la lentezza del processo normativo. L’Europa ha un problema diverso, specie in quest’ultima fase ha sviluppato quasi un’ansia da prestazione. Mi permetto di atribuirla all’ex vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans, che ha lanciato la sua candidatura alla presidenza del suo paese con un’agenda green. Così come il regolamento packaging arriva solo 2 anni dopo la normativa sul single use, la Nature restoration law è arrivata quando c’erano numerosi altri provvedimenti sulla stessa materia; inoltre, nel settore automobilistico, i carburanti alternativi sono stati bocciati dopo pochi anni.

Ma riciclo e riuso non possono convivere?

Assolutamente sì. Con la flessibilità, la capacità di adattamento alle caratteristiche del settore o del materiale è possibile scegliere dove utilizzare il riciclo o dove è meglio il riuso. Con i pallet si è creata una filiera assolutamente virtuosa, in grado di contenere i costi sul trasporto in maniera soddisfacente: un vero punto di riferimento che chiedamo venga considerato con la rivalutazione della normativa. Nel modello integrato italiano hanno funzionato molto bene sia il riciclo che il riuso perchè si sono messi assieme tutti gli anelli della catena, fin dai primi sistemi di raccolta degli enti locali, tarati su un sistema virtuoso che presidia tutte le fasi dal consumo, al post consumo, alla raccolta, al modello di smaltimento e riciclo, per arrivare a come deve essere finanziato il sistema di allocazione delle risorse per i soggetti della filiera. Abbiamo tentato di dare al singolo materiale un’adeguata disciplina con una risposta di tipo industriale; il provvedimento Ue deve basarsi anche su queste buone pratiche.

Massimiliano Salini dal 2014 è Europarlamentare di Forza Italia – Gruppo Ppe (Partito Popolare Europeo), eletto nel collegio Nord Ovest con oltre 27mila voti

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