23 Set 2025

Il riflusso della sostenibilità

Gli investimenti in Esg calano e l’impegno delle aziende rallenta

Intervista a MARCO CALDERINI

Multinazionali in ritardo nel raggiungimento dei target di decarbonizzazione, calo degli investimenti in fondi Esg: invece di accelerare sul percorso della sostenibilità, così come sarebbe necessario, siamo entrati in una fase di riflusso?

La mia risposta è sì. La regressione c’è ed è anche provata. Basta mettere insieme un po’ di aneddotica. Per esempio: Harley Davidson e Jack Daniels non solo smettono di praticare politiche di diversity & inclusion, ma addirittura ostentano il fatto di non farlo. Nel loro caso potrebbe essere anche un po’ comprensibile, perché sono marchi un po’ legati al “machismo”, ma adesso si sono messi a fare lo stesso Ford e John Deere, grandi manifatturieri americani. E anche in Europa ci sono una serie di segnali tangibili di questa regressione, anche se il fenomeno è ancora molto strisciante.

Quali sono le ragioni di questo riflusso?

Direi fondamentalmente tre. La prima riguarda il fatto che è cambiato l’atteggiamento anche dei consumatori: assistiamo a una coevoluzione tra problema delle imprese e sentiment dei consumatori. Premettendo che io sono totalmente pro azioni anti-climate change, il problema consiste nel racconto che la Commissione europea ha fatto sui temi della sostenibilità. Ha schiacciato tutto su temi verdi, dimenticandosi la transizione sociale e produttiva. Così facendo, ha creato una lacerazione, provocando rabbia e perdita di consenso, e ha regalato al populismo conservatore una tale base elettorale che è ovvio che adesso i consumatori stanno completamente cambiando orientamento. Finora è stata raccontata una sostenibilità prevalentemente verde, spesso molto costosa, spesso dolorosa dal punto di vista di alcune scelte produttive e occupazionali. E i consumatori si sono messi di traverso: hanno ragione loro perché c’è stato un errore di narrazione molto grave.

E le altre due ragioni quali sono?

La seconda fa parte del ciclo di vita di un tema come la sostenibilità: c’è stato il grande innamoramento, la fase facile in cui tutti si compiacevano e abbracciavano la causa. Finché, appunto, nessuno ha presentato il conto. Tanto è vero che la sostenibilità è diventata una commodity, cioè non c’è un’impresa oggi che non si racconti sostenibile. E quindi, da un lato, le imprese hanno cominciato a capire che la sostenibilità, quella facile, quella gratis, non era una fonte di distinzione competitiva e quindi che non era poi così fondamentale. Dall’altro, le aziende si sono rese conto che la sostenibilità vera, soprattutto quella sociale oltre che ambientale, era una faccenda molto complicata e che richiedeva dei rischi aggiuntivi. Richiedeva di prendere in considerazione il fatto che profitto e impatto non sono così sempre perfettamente allineati. È finita un po’ la favoletta che con la sostenibilità si guadagna anche: è vero certe volte, falso molte altre volte. La terza motivazione è che la over regulation della Commissione europea, con la compliance imposta alle imprese, ha fatto un po’ passare la voglia. Oppure, siccome era obbligatoria, tutto si è schiacciato su degli esercizi di compliance e si è perso completamente il senso vero di fare sostenibilità.

E la finanza? Qual è la sua importanza nella transizione?

Questa storia è cominciata molto prima in finanza che nelle corporation. La finanza non è solo un ingranaggio fondamentale della storia, ma è anche quello che può cambiare gli equilibri. Oggi abbiamo 43mila miliardi di dollari investiti in criteri di Esg. Se gli Esg funzionassero forse la finanza sarebbe stata in grado di cambiare il mondo. Ma gli Esg sono criteri molto deboli, e quindi non è detto che così stia succedendo, perché se 43mila miliardi di dollari fossero investiti nella direzione giusta forse molti dei problemi di cui parliamo sarebbero già risolti. La finanza è fondamentale nella trasformazione perché attraverso le quote di controllo e i consigli di amministrazione impone realmente un certo tipo di scelte alle imprese. Tuttavia, anche la finanza sta facendo i conti con una fase difficile, una regressione segnalata dal calo degli investimenti. La finanza è all’avanguardia, si è data regolamentazioni molto stringenti e ha l’opportunità di cambiare il mondo. Ma purtroppo le metriche sono ancora molto deboli.

A proposito di Stati Uniti e di tema politico, non le pare che Kamala Harris abbia fatto dietrofront su molti dei suoi impegni green?

Sì, almeno dichiaratamente in campagna elettorale, quindi secondo me bisogna darle il beneficio del dubbio. Nell’unico dibattito che c’è stato tra i due candidati, Harris ha fatto delle aperture molto importanti verso l’oil and gas e non ha certamente calcato su temi tipicamente legati al mondo woke. Negli Stati Uniti, molto più che in Europa, c’è questo terrore di sembrare woke (dogmatici e sprezzanti ndr), quindi i politici se ne stanno tenendo molto lontani, anche quelli democratici. Un’altra delle grandi questioni del riflusso è che alcuni Stati americani di matrice conservatrice trumpiana repubblicani stanno denunciando le banche perché sostengono che utilizzino gli Esg come criterio di valutazione per i loro finanziamenti. Anche in questo caso siamo in pienissima fase di riflusso.

Quindi secondo lei che negli Stati Uniti vinca il candidato democratico o che vinca quello repubblicano farà veramente tanta differenza in merito ai temi di cui stiamo parlando oppure no?

Continuo a vivere un po’ nell’illusione che la Harris abbia preso certe posizioni in campagna elettorale, ma che poi la sua base di consenso e lei stessa abbiano delle idee leggermente più aperte di quelle di Trump. Quindi penso che farebbe ancora una differenza se vincesse la candidata democratica.

E l’Italia come si pone in questa ondata di riflusso?

Abbiamo una grande massa di piccole imprese e tra di loro vedo germi di insoddisfazione e di riflusso molto forti. Le Pmi hanno, a mio parere, soprattutto un grande problema: tra le metriche che regolano oggi la sostenibilità si trovano male, vedono nello specchio un’immagine distorta di sé che non rende giustizia al loro valore. Quindi, oltre a tutto quello che abbiamo detto, c’è anche il fatto che le Pmi, secondo me, nutrono un malcontento nascente rispetto alle metriche con cui vengono misurate. Metriche che, appunto, sono completamente strabiche verso la dimensione ambientale e quasi zero rispetto alla dimensione sociale. Una piccola impresa di una valle del cuneese che in termini di emissioni di CO2 può contribuire in valori assoluti in un modo risibile rispetto a una grande multinazionale e che però lega gran parte del proprio valore al fatto che è la sola presenza economica all’interno di un’intera comunità, non riesce a riflettersi nelle metriche Esg e quindi si sente sottovalutata.

Per approfondire (suggeriti da Mario Calderini)

LIBRI

Rebecca Henderson, Nel mondo che brucia. Ripensare il capitalismo per la sopravvivenza del pianeta Luiss University Press, 2020

Mario Calderini è professore di impact and sustainability management presso la School of management del Politecnico di Milano ed è direttore di Tiresia, il centro di ricerca sulla finanza e l’innovazione a impatto sociale della School of management del Politecnico di Milano.

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