17 Mar 2023

Il nodo è la coerenza

Tutela della biodiversità, decarbonizzazione, sostituzione di risorse fossili con risorse biologiche: l’UE si è data obiettivi ambiziosi, ma non sempre compatibili fra loro

intervista a DAVIDE PETTENELLA

C’è abbastanza legname in Europa per le esigenze della bioeconomia?

Guardando alle risorse forestali che abbiamo e alla domanda industriale, possiamo aumentare i tagli di legname. Il tasso di prelievo dei boschi europei è di gran lunga inferiore all’accrescimento netto annuo, tenendo conto anche dei grandi eventi di danneggiamento che abbiamo avuto negli ultimi cinque anni in centro Europa e in Italia con la tempesta Vaia. Quindi il potenziale di sviluppo degli impieghi industriali ed energetici è significativo. Guardando al futuro la situazione è un po’ diversa, e questo per due fattori. Il primo sono le politiche in atto da parte dell’Ue, che hanno un forte elemento interno di contraddizione, perché da una parte l’Ue sta stimolando il processo di decarbonizzazione, dall’altro sta prendendo misure molto radicali di tutela della biodiversità, con effetti forti sulla possibilità di espandere la produzione di legname.

E il secondo fattore?

A livello internazionale c’è una crescita imponente dei consumi di legname a uso industriale. Per l’emergere delle economie di Paesi come la Cina, che è il più grande importatore mondiale di legname, ma anche di altri Paesi del Global South. Secondo un recente outlook della Fao, i consumi di legname dovrebbero subire una radicale svolta a seguito dell’emergere di nuovi mercati per i prodotti legnosi, legati a quattro settori: costruzioni; Mmcf (Man Made Cellulosic Fiber) le fibre cellulosiche di origine artificiale; packaging; bioplastiche e in genere bioprodotti, come prodotti biofarmaceutici e cosmetici. Tutte aree dove noi dovremmo nel futuro sostituire risorse fossili con risorse rinnovabili, con biomasse agricole e forestali.

Torniamo alle politiche europee.

L’Ue ha approvato ultimamente alcuni documenti strategici che danno una svolta decisiva a favore delle politiche di tutela della biodiversità. Con obiettivi molto impegnativi, per esempio di sviluppo dell’agricoltura biologica e di riduzione dell’uso di fertilizzanti e prodotti chimici, che porteranno a un innalzamento della qualità della produzione agroalimentare, ma anche a una domanda di terra significativa. Sul fronte della tutela delle risorse forestali, la Commissione Europea ha stabilito di mettere a protezione legale il 30 per cento del proprio territorio e delle proprie aree marine, e il 10 per cento in una condizione di tutela integrale. Quindi il futuro ci presenta un problema sostanziale: dove produrremo tutte le biomasse necessarie per ridurre del 55 per cento le immissioni di carbonio al 2030, come dire dopodomani, e per azzerarle nel 2050? Come sostituiremo tutta la plastica di origine da risorse fossili? E il 53 per cento dei tessuti acrilici che caratterizzano l’industria tessile? E tutti gli impieghi di risorse fossili per la produzione di plastiche e in tanti altri settori della chimica? Evidentemente la risposta è: producendo più biomasse.

Già. Ma dove?…

Appunto. Produrre più biomasse agricole in un contesto in cui i terreni agricoli, per le pratiche più attente alla qualità dell’ambiente e del cibo, vedranno diminuire il loro livello di produttività? O nei territori forestali, quando stiamo stringendo i criteri di tutela ambientale, mettendo in protezione molte più foreste e riducendo gli spazi per investimenti forestali di carattere produttivo? L’Europa già dipende come importatore netto di biomasse da molti Paesi, soprattutto del Global South, e sta diventando sempre più cosciente dei problemi cosiddetti di deforestazione incorporata collegati a queste importazioni. È in fase definitiva di approvazione un regolamento che imporrà per sei materie prime e derivati (legname e prodotti lavorati, carni bovine, olio di palma, soia, caffè e cacao) la necessità di documentare che non provengano da forme di deforestazione o degrado forestale. Queste sei commodities dovrebbero coprire circa il 90 per cento della deforestazione incorporata, e dovrebbero essere soltanto le prime di una serie molto più ampia di materie prime di origine biologica su cui metteremo forti interventi di controllo.

Quale domanda emerge da questo quadro?

Come riusciamo a conciliare gli obiettivi di tutela della biodiversità, decarbonizzazione, sostituzione di risorse fossili con risorse biologiche, quando in Europa non possiamo ridurre la superficie agricola per produzioni alimentari, essendo già importatori netti, e le risorse forestali devono essere gestite con forti criteri di tutela ambientale? Alla luce di questa fortissima crescita dei consumi, gli obiettivi che ci siamo dati come Ue sono abbastanza irrealistici, e dovremo scendere a compromessi. Un riferimento al contesto italiano, poi, è d’obbligo: parliamo di bioeconomia, cioè di una economia che si libera dall’impiego di risorse non rinnovabili, e aggiungiamo al termine l’attributo circolare. La circolarità dovrebbe ridurre la necessità di ricorrere alla produzione aumentata di biomassa. La trasformazione dell’economia in una economia su basi biologiche, se accompagnata alla circolarità, potrebbe in linea teorica fare a meno di impiegare grandi quantità di nuovo materiale di origine biologica. Il problema è che l’Italia è già un campione nel settore della biomassa del riciclo, come Rilegno testimonia; siamo già a livelli altissimi di riutilizzo del legname post consumo e a livelli record di riutilizzo della carta e riciclaggio (siamo esportatori netti di carta da riciclaggio). Alzarli ulteriormente si può, ma certamente non in modo molto significativo: non si risolvono i problemi di approvvigionamento in questi termini. Se guardiamo a Paesi dove la circolarità può fare grandi passi avanti questi spazi ci saranno, ma non certo in Italia, e ci sono forti limiti anche guardando alla situazione europea.

Cosa suggerisce?

Di guardare all’incompatibilità tra le diverse politiche. Finora la Commissione europea ha giocato su più tavoli diversi e non ha fatto quell’esercizio che nel campo della programmazione è fondamentale, cioè l’esercizio dell’analisi della compatibilità, della verifica di coerenza. Ci sono state molte diverse iniziative da parte delle diverse direzioni generali, ma internamente non ci si è posti il problema della conciliabilità di queste politiche. Probabilmente dobbiamo essere meno ambiziosi sugli obiettivi della bioeconomia, soprattutto su quello della decarbonizzazione al 55 per cento per il 2030. Un altro suggerimento ce l’avrei, ma questo è molto più radicale.

Prego, ci chiamiamo Walden mica per niente.

CI sono sostanzialmente due visioni della bioeconomia, una tecnologica e una sociale. In quella biotecnologica il problema fondamentale è di sostituire risorse fossili con risorse rinnovabili, mantenendo gli stessi modelli di consumo, per esempio spostando la mobilità individuale dalle auto a benzina alle auto elettriche, con elettricità proveniente da rinnovabili. Questa visione della bioeconomia è comprensibile, ma non si concilia con gli obiettivi di tutela della biodiversità. La visione sociale porta a dire: non dobbiamo soltanto sostituire benzina con biocarburante, dobbiamo cambiare i modelli di consumo e di trasporto. Dobbiamo andare verso un’economia che sia meno basata sull’impiego di materie prime e molto più legata a un’attività connessa allo sviluppo dei servizi immateriali. Qui il discorso si amplia e diventa quasi di carattere filosofico, ma penso sia buona filosofia da fare. Non possiamo più avere il mito del Pil legato alla produzione di acciaio, cemento, benzine e altri beni di consumo, dobbiamo avere altri criteri di valutazione del benessere, molto più basati su beni relazionali, servizi, indicatori della qualità della vita che non si identificano esclusivamente con i livelli di consumo e di acquisto di beni materiali. E poi c’è la curva di Kuznets che mette in relazione crescita del Pil e crescita del benessere…

Cosa indica questa curva?

Raggiunti certi livelli di reddito pro capite alcuni indicatori di felicità, che tengono di fattori quali la vendita di psicofarmaci, il numero di suicidi, il numero di persone con disturbi psichici, di persone che muoiono per consumo di droghe e così via, plafonano e poi diminuiscono. Per cui uno si chiede: ma perché dobbiamo andare oltre certi livelli di reddito, ovvero di produzione di beni materiali, quando rischiamo di trovarci di fronte a società meno felici e quindi meno stabili e meno governabili? Forse dobbiamo fermarci, e quindi fermare anche alcuni consumi materiali, guardare agli aspetti fondamentali della qualità della vita che sono quelli relazionali, del tempo libero e della sua disponibilità. Questa diversa visione della bioeconomia potrebbe anche avere impatti per esempio sui consumi di prodotti legnosi. Perché dobbiamo diventare pazzi a produrre biometano o Mmcf per produrre bioplastica, quando oltre a riciclare questi prodotti possiamo anche utilizzarne meno? Non dico che sia una quadratura del cerchio, è un’ipotesi un po’ più realistica. Ma devo dirle che l’approccio assolutamente dominante a Bruxelles nell’immaginare la bioeconomia è quello tecnologico, che vede come grande elemento di attenzione, faro centrale, le bioraffinerie, questi enormi impianti molto capital intensive che utilizzano milioni di tonnellate di biomasse per produrre tutta una serie di prodotti chimici in alternativa a quelli di origine fossile.

DAVIDE PETTENELLA è professore ordinario di economia e politica forestale all’Università degli Studi di Padova.

Rimani aggiornato

Vuoi sapere di più sul mondo del legno?

Rimani aggiornato