03 Mag 2022
Il bosco? Non è un supermercato
Per cambiare i comportamenti collettivi e individuali verso l’ambiente servono domande e metafore diverse
intervista ad Alex Bellini
Qual è la sua visione della sostenibilità?
E’ una cosa molto complessa, un dilemma che ci trova impreparati nella maniera più profonda: come disaccoppiare la crescita economica dagli impatti che ha sull’ambiente, sulle popolazioni e sull’economia stessa? questa è forse la sfida non solo tecnologica, ma anche culturale e cognitiva che si possa immaginare. Però è una sfida e in quanto tle è eccitante.
Lo dico da esploratore, che quando si misura con un ostacolo che sembra insuperabile ha l’attivazione del mindset del curioso, del ficcanaso che prova con curiosità a superare il problema. Che però non può essere semplificato più di tanto, altrimenti si rischia di risolvere un problema e di crearne un altro.
Come nel caso della plastica, che però non abbiamo considerato che poteva avere effetti secondari, i quali hanno creato nuovi problemi.
Qual è il percorso che da esploratore estremo l’ha portata a diventare divulgatore ambientale e ambasciatore della sostenibilità?
Credo sia stata la lunga frequentazione, diventata anchemolto intima, con l’ambiente naturale, che per me non
è un accessorio di seconda importanza ma una componente fondamentale della mia vita. Se non ci fosse l’ambiente naturale non avrebbe senso fare l’esploratore. Frequentare intimamente il pianeta nelle sue sfaccettature più estreme, quelle più fragili, vulnerabili e quelle potenti e distruttive, mi ha portato a pormi delle domande, a riflettere su dove stiamo andando. Gran parte delle mie esplorazioni le faccio in solitaria, c’è tempo di riflettere, quindi è inevitabile sviluppare una certa sensibilità ai temi ambientali. Così ho deciso di intraprendere un percorso, sempre guidato da curiosità per l’esplorazione, finalizzato alla divulgazione ambientale, uno strumento anche comunicativo per accompagnare le persone in un viaggio metaforico. Qualche volta mi capita di essere accompagnato da ospiti, amici o personalità del mondo di internet che mi aiutano a far viaggiare più lontano il messaggio.
Ci racconta alcune esperienze significative sulla gestione della natura e del rapporto uomo – natura di cui è stato testimone?
È accaduto durante la navigazione del Gange nel 2019, il primo della lista del progetto 10 Rivers One Ocean con il quale navigo i dieci fiumi più inquinati dalla plastica al mondo. Premetto che sul Gange la plastica è la cosa meno rivoltante che galleggia. Navigavo sulla mia zattera e mi sono imbattuto nell’ennesimo corpo marcescente di un vitello morto che galleggiava semisommerso. Poco distante ho incontrato un pescatore che buttava la sua rete per cercare di portare a casa qualcosa di commestibile. Allora gli ho chiesto, con l’aiuto di un interprete che mi accompagnava su un’altra imbarcazione, perché nessuno raccogliesse quel corpo, che è comunque un inquinamento psicologico, turba.
Lui mi ha detto candidamente: il fiume è lungo, più a sud, qualcuno se ne occuperà. La relazione dell’uomo verso la natura, l’ambiente naturale e ciò che mette in crisi l’ambiente è simile all’approccio del pescatore, che vede il corpo del vitello morto e invece di raccoglierlo si affida a qualcuno che se ne occuperà più giù lungo il fiume. Ci illudiamo che qualcuno verrà prima o poi con la bacchetta magica, con la leadership anche spirituale a salvarci da questo gran caos che abbiamo contribuito a creare, anche per questa forma di inerzia ch contraddistingue il pescatore, e non solo lui.
Che visione ha maturato dei temi legati a legno, foreste, boschi?
Sono un montanaro, nato e cresciuto in montagna, le prime esperienze in natura le ho fatte esplorando il bosco dietro casa, con una piccola mappa disegnata su un tovagliolo di carta da mio padre. Il bosco mi richiama alla memoria quei momenti, i temi del mistero, il misterioso, il sacro. Parole di cui abbiamo perso il significato.
La modernità, la tecnologia, le conquiste della conoscenza hanno ridotto il mondo, che era pieno di luoghi misteriosi, come appunto il bosco, a una serie di luoghi in cui ci si approvvigiona delle materie prime. Il bosco non è più il luogo del mistero dove vivono i personaggi mitologici di alcune culture, come quelle nord europee, ma un luogo in un supermercato, dove si può andare a raccogliere le materie prime. La domanda che dovremmo porci è: di quale forma di economia ha bisogno la natura, incluso il bosco, per continuare a garantirci le risorse? E non invece: come poter sfruttare ancora più abilmente le risorse della natura per soddisfare i bisogni economici?
Quali sono i comportamenti individuali da cambiare in funzione della sostenibilità, e come fare?
Una modalità molto semplice per produrre dei cambiamenti è farsi domande diverse, perché le domande guidano i nostri comportamenti. Quando si parla di sostenibilità ci si chiede spesso in che maniera l’uomo contribuisce a cambiare l’ambiente che ha attorno; quindi tutte le azioni pro ambiente diventano di fatto altruistiche. Ma qui iniziano i problemi, perché l’uomo per quanto provi a essere altruista è profondamente egoista nelle sue scelte. Una domanda diversa potrebbe essere questa: in che maniera i nostri comportamenti cambiano chi siamo? Quale parte di noi contribuiamo a far fiorire attraverso i nostri comportamenti? Ragionando così potremmo scoprire più consapevolezza verso comportamenti poco virtuosi e cambiarli. Credo molto nella forza delle domande, che ritrovo nella mia attività di ottimizzatore mentale. Nel momento in cui si fa una riconfigurazione dello scenario attraverso una domanda nuova, si vedono opportunità e alternative che prima non si vedevano.
A questo proposito, lei nel suo libro Oltre parla della componente mentale nelle alte prestazioni, soprattutto sportive. C’è un nesso con il tema ambientale?
Il concetto di limite è un punto di contatto tra questi due mondi. Viviamo in un mondo di cui abbiamo ignorato per tanto tempo i limiti. Ma già nel 1972 fu pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo, pietra miliare della sostenibilità, che sottolineava il fatto che viviamo in un mondo di risorse finite e ci comportiamo come se fossero infinite. Abbiamo ancora il mindset del predone barbaro che non si ferma davanti a nulla proprio perché ignora questi limiti. Per sopravvivere dobbiamo imparare a superare dei limiti di carattere culturale, sociale, comportamentale, economico, e dall’altra parte dobbiamo renderci conto che ci sono dei limiti che non
vanno superati, ma che sistematicamente superiamo.
La stessa cosa nell’attività sportiva: ci sono dei limiti che vanno preservati: quello della sicurezza, del benessere mentale – temi molto attuali, perché le Olimpiadi di Tokio ci hanno lasciato in eredità questa nuova idea
del costo della massima prestazione, che fino a poco tempo fa sembrava tabù. E altri limiti che possiamo superare: quelli imposti dal nostro linguaggio interiore, quelli imposti dalla tecnologia, dalla ricerca tecnologica legata alla performance.
Quali sono i cambiamenti auspicabili nella comunicazione, anche dei media, sui temi ambientali?
I media potrebbero contribuire a creare una nuova consapevolezza modificando in parte la comunicazione, cercando metafore diverse con cui spiegare la crisi climatica. La metafora è uno strumento molto utile perché semplifica concetti non comprensibili ai più e mette in luce alcune analogie. Si parla di guerra al cambiamento climatico. L’idea di guerra identifica un nemico con cui ce la stiamo vedendo; ma continuare a lavorare sull’idea della guerra, o emergenza, rischia di farci ignorare altri aspetti.
In una guerra c’è il momento in cui sai per certo di aver vinto o perso, a meno di un armistizio. Con la crisi ecologica forse non arriveremo mai a quel momento. Si alimenta questa idea come se domani ci potessimo svegliare con questo risultato finale. I dilemmi vanno gestiti, si dovrebbe cercare una nuova comunicazione che renda giustizia al problema.