20 Mar 2024

Energia verde nel paesaggio, si può fare

La transizione energetica è troppo lenta, il fossile copre ancora l’85 per cento della fornitura. Bisogna accelerare, anche ripensando il rapporto con il territorio, che oggi vive di estremizzazioni

di LUCA MERCALLI

Il negazionismo è presente un po’ in tutti i settori: non mi sorprende che persista anche nel clima, dove ci sono anche dei pesanti interessi. Rispetto a qualche anno fa è sempre più ridotto a un rumore di fondo, ma se riesce a penetrare negli ambienti della politica e dell’economia può fare dei danni e rallentare certe decisioni. Da un lato, quindi, è giusto starne in guardia. Ma la mia esperienza mi dice che è inutile sprecare troppe energie per combatterlo. Meglio andare avanti sulla strada delle attività concrete e lavorare con chi è disposto a recepire i dati della scienza ufficiale e a trasformarli in scelte politiche ed economiche. L’unica cosa che posso rilevare è che purtroppo i grandi Enti scientifici che si occupano di clima non protestano abbastanza quando vengono screditati e attaccati dalle tesi negazioniste, perchè sono strutture molto grandi e hanno uffici stampa che ogni volta lasciano passare sei mesi prima di muoversi. Questo fa sì che ci sia un incredibile silenzio. Penso per esempio all’Ipcc, che tante volte viene attaccato, ma tace. Noi divulgatori e ricercatori facciamo il possibile per prenderne le difese, però qualche volta piacerebbe anche che fossero degli Enti di grande peso a scrivere agli organi di informazione e a lamentarsi quando vengono calunniati esplicitamente. Questa è una grave tara del sistema comunicativo, perché lascia poche persone a difendere il comparto scientifico, che invece a livello di istituzionale molto spesso tace.

Quando vedrò scendere la concentrazione di CO2 in atmosfera o le emissioni globali sarò più ottimista. Finché la vedo salire tendo a diventare più pessimista. D’altra parte, tutta la ricerca scientifica sul tema sta alzando il livello di preoccupazione, proprio perchè negli ultimi anni abbiamo accumulato un ritardo enorme sulle azioni di mitigazione e anche di adattamento al cambiamento climatico e stiamo pagando questo ritardo con un rischio sempre maggiore. Per cui direi che al momento sono più apocalittico che integrato.

Certamente la transizione energetica, che è una parte della più grande transizione ecologica, è molto lenta, nonostante nel mondo ci siano segnali positivi. Ma si potrebbe e si dovrebbe fare molto di più. Abbiamo i mezzi per incrementare il parco di produzione elettrica fotovoltaico, eolico, idroelettrico e purtroppo in questo momento i combustibili fossili continuano a primeggiare. Quindi, anche se abbiamo dei numeri incoraggianti sulle energie rinnovabili, non dimentichiamo che il fossile copre ancora l’85 per cento della fornitura di energia mondiale. E’ veramente una sfida gigantesca, sulla quale dovremmo prendere atto che al momento stiamo procedendo troppo lenti.

Il greenwashing nei progetti di compensazione, che sono prevalentemente dei progetti forestali, esiste eccome. Intanto, non dimentichiamo che lavorare con gli alberi vuole dire lavorare con la vita, non è come una catena di montaggio in una fabbrica. Gli alberi fanno quello che possono in certe situazioni, anche quando vengono accuditi. Sono sensibili alla siccità e al troppo caldo, quindi ci sono annate nelle quali sottraggono meno CO2 delle attese, figuriamoci se poi vengono addirittura trascurati. La mia opinione è che bisogna veramente scendere con le emissioni all’origine, non si può continuare con questa logica della compensazione che è una sorta di alibi, un modo di avallare il mantenimento del “business as usual”. In certe condizioni è ovvio che la compensazione è una soluzione obbligata, perché la transizione non si può fare in un giorno, ma dovrebbe essere ben chiaro che non deve diventare uno standard, ma restare esclusivamente un aiuto temporaneo. In fondo, la sfida delle energie rinnovabili, essendo così rilevante, avrebbe bisogno di qualche investimento in più in ricerca, in conoscenza e anche in diffusione dei risultati. Perché non possiamo dire che le energie rinnovabili che ci sono oggi non funzionino. Io stesso ho il tetto ricoperto da pannelli fotovoltaici da 15 anni. Certo, possiamo lavorare per migliorarli ancora, per diminuire il costo di produzione, per migliorare la filiera di recupero e di riciclo. Ed è ovvio che la ricerca scientifica rende di più se è coordinata e se evitiamo di disperdere gli investimenti in mille rivoli. Dove ciascuno riscopre l’acqua calda.

Il nostro rapporto con il paesaggio in Italia vive di estremizzazioni: da un lato si cerca di difendere il dettaglio in modo perfino maniacale, ma fintanto che sulla carta c’è una riga rossa che delimita una certa area di interesse, appena usciamo da questa riga rossa tutto è permesso: capannoni, strade, autostrade, cave, e il paesaggio è letteralmente martoriato. Credo allora che sia importante una mediazione. Oggi, certamente, sui centri storici è giusto essere un po’ più cauti, ma fuori da quelli, nella gran parte dei casi, sarebbe forse opportuno chiederci quali sono le operazioni che stanno davvero distruggendo in maniera irreversibile il territorio ed essere disponibili ad accettare le nuove energie rinnovabili: non le vedo come la fonte di tutti i mali. Una torre eolica può disturbarci, è vero, ma i ripetitori telefonici non sono più belli da vedere. Sono d’accordo sul fatto che non vadano collocati i pannelli fotovoltaici sugli edifici storici, ma per quanto riguarda gli altri edifici abbiamo una tale quantità di costruito di cattiva qualità che la situazione non può che migliorare se li ricopriamo di pannelli fotovoltaici. Cominciamo dalle aree dismesse e dalle zone marginali, poi arriveremo ai terreni agricoli di qualità. La mia opinione è che anche in questo ci può essere della gradualità. Cominciamo dove è facile, tra vent’anni rifacciamo i conti e se servirà ancora dello spazio andremo a investire zone più rilevanti da un punto di vista paesaggistico; nel frattempo saranno sicuramente nate delle nuove impostazioni. Perché in Italia abbiamo anche il vantaggio di avere una grande competenza, sul piano dello stile e della bellezza. Quindi, sono convinto che architetti e ingegneri, storici e archeologi, se lavorassero insieme troverebbero delle soluzioni accettabili per le forme di energia rinnovabile, che potremmo addirittura esportare nel resto del mondo.

Luca Mercalli è un climatologo, docente in varie università e divulgatore scientifico. Presiede la Società meteorologica italiana ed è il responsabile dell’Osservatorio Meteorologico del Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri.

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