02 Ott 2024
Dove c’è un albero c’è vita
Dalle esplorazioni desertiche estreme, una lezione sull’importanza di recuperare il rapporto con la natura per creare una vera cultura della sostenibilità
intervista a MAX CALDERAN
Calderan, lei attraversa a piedi deserti ma propone anche un più semplice ritorno al contatto con la natura.
La mia fortuna è stata un’infanzia in natura: nonni, campi, trattore, mucche, vendemmia, frumento, orzo, il preparare il burro in casa, lo spalare letame nelle stalle… Tutti dovrebbero fare esperienze di questo tipo da bambini, anche se il mondo ci porta in un’altra direzione. Il mio percorso non è stato tanto un ritorno alle origini, quanto un riprendere in mano nel corso degli anni quello che in qualche misura avevo dimenticato. Negli anni si è risvegliato in me l’istinto e il desiderio di ricercare quel che sentivo mancarmi sempre di più. Nasciamo nudi, camminiamo scalzi, ma poi a un certo punto ci dobbiamo vestire, mettere delle scarpe, andare a scuola, all’università, intraprendere un lavoro, avere responsabilità, una casa: ma non dobbiamo però dimenticarci da dove veniamo. Non ha senso pensare di sostituire con qualcosa di surrogato qualcosa che in realtà è ancora disponibilissimo a costo zero, ma che percepiamo come ostile e distante perché non lo ricordiamo più.
È così importante tornare in natura?
Per saperlo basta vedere il sorriso che nasce nelle persone che respirano aria pulita, una sorta di rinascita. Partendo da questo presupposto ho sviluppato le mie esplorazioni e il mio stile di vita. La tecnologia dovrebbe regalarci più tempo per recuperare la nostra origine naturale, non togliercene. Il torto più grave che si può fare oggi a una persona è togliergli la possibilità di avere un raggio di sole, di avere un albero sul quale arrampicarsi, o di trovare refrigerio all’ombra nelle giornate calde. DI chinarsi su un torrente in montagna e bere perché l’acqua è pulita e fresca, di andare al mare e trovare sabbia pulita senza mozziconi e plastica. Questo per me è il torto più grande che puoi fare a un essere umano, perché recuperare il contatto con la natura è vitale.
C’è un legame tra il rapporto diretto con la natura e quello con il cambiamento climatico?
Oggi pare che per riso0lvere questa situazione in continua evoluzione, che potrebbe mutare giorno dopo giorno, sia sufficiente buttare la plastica nell’apposito contenitore, così per l’umido, e così via. Sembra che se si acquista un’auto elettrica si riducono le emissioni di CO2 e si è fatta la propria battaglia. Ma questo non funziona e non potrà mai funzionare, perché manca la consapevolezza vera della necessità di tornare alla propria origine naturale, manca la coerenza tra quel che viene detto e quel che viene fatto. Non possono funzionare azioni omologate e uguali per tutti, perché non si tiene mai in considerazione il punto centrale: l’essere umano, la persona. Un po’ come nella medicina ci si sposta verso quella personalizzata, manca il concetto di trasferire azioni adatte a ciascuno. Cosa posso fare io che abito a Milano in un condominio con 50 appartamenti in una zona periferica vicino a una discarica con l’inceneritore?
Già. Cosa può fare?
Dobbiamo ricreare la consapevolezza dell’importanza di avere parchi dove i bambini possano salire sugli alberi, non su giochi di plastica riciclata, perché l’essere umano sta bene se tocca il legno, non la plastica. Ridare il giusto valore allo spazio aperto della natura. I bambini di oggi prenderanno decisioni future sul cambiamento climatico. Manca la formazione consapevole, l’esperienza, in modo che in futuro la gestione sia da parte di chi la natura l’ha vissuta in prima persona. Non mi farei fare una dieta da uno specialista in sovrappeso che beve, non andrei da un chirurgo cui trema la mano perché la sera prima ha bevuto, e neanche metterei la responsabilità dell’ambiente in mano a chi non ha mai respirato aria pulita, ma solo quella di hotel a 5 stelle. È un lavoro che si semina adesso nei bambini, nelle scuole, con attività di esperienza a cielo aperto, sporcandosi le mani.
E la sua esperienza di esploratore?
È in linea con questo mio sentire. La Calderan line che ho aperto a febbraio in Arabia Saudita è lunga 1.100 km. Si trova nel deserto di sabbia più grande al mondo, in una delle zone più inospitali, tra le più pericolose, dove non c’è acqua, nulla. Ma ho capito che potrebbe tornare verde come era ventimila anni fa: in quella esplorazione si è sviluppato in me il progetto di riportare acqua e alberi per ripristinare una sorta di equilibrio con l’ambiente, per riportare anche razze di animali che si riteneva fossero estinte. Un progetto che prenderà l’acqua dall’aria con un grande umidificatore alimentato da un pannello solare, con cui verrà irrigata una prima piccola oasi, per cominciare. L’Arabia Saudita è un terreno molto fertile anche dal punto di vista dello sviluppo di idee un po’ folli. Esiste un progetto che prevede di piantare un miliardo di alberi da costa a costa. Le risorse ci sono, ognuno lo fa a suo modo, più o meno eclatante, però ci sono questi progetti un po’ folli che hanno il potere di richiamare l’attenzione.
Gli alberi sono importanti?
Fondamentali. Con le mie esplorazioni ho costruito pozzi d’acqua in tante zone del pianeta per farli crescere. Quando un albero cresce crea un’ombra, sotto la quale due persone comunicano: inizia una condizione di confronto che porta a un miglioramento. Quando arrivano persone da più parti del mondo, ognuno con la sua etnia, la sua religione, la sua politica, il suo pensiero, la sua cultura, inizia il confronto: ma se inizia un dialogo vuol dire che c’è un interesse comune. La condivisione di idee diverse può portare un greening nuovo, una svolta nuova per tenere in salute non solo il pianeta ma soprattutto il rapporto tra le persone. Se le persone pretendono che in città ci sia verde pulito, ci vorranno politiche per renderlo possibile. Per me, che sono abituato alla sabbia, il legno rimane quel che può essere condiviso da tutti, perché dove c’è un albero c’è vita.
