21 Giu 2022
Dal design cambiamenti tenui ma costanti
Le leve del designer per la sostenibilità del prodotto: non decisive ma importanti
Intervista a Odo Fioravanti
Cos’è per lei la sostenibilità nel mondo del design?
Ci sono tanti interlocutori decisivi per la creazione di un nuovo prodotto: il designer non è decisivo, ma può influire. Non penso che possa mettersi di traverso rispetto a un’azienda che vuole fare l’ennesimo piatto di plastica, perché la convenienza economica e la mancanza di una legislazione più attenta danno al designer poche possibilità. La verità è che abbiamo provato per anni a disegnare lampade a led, che abbassano drasticamente i consumi, finché l’UE non ha fatto una legge contro le lampadine a incandescenza, poi recepita dal governo italiano. Fino a quel momento tutte le lampade a led che si facevano erano poco più di uno scherzo, perché nessuno le comprava. Nessuno capiva perché doveva pagare il triplo o il quadruplo una lampadina che durava vent’anni, finché una legge non ha dato strumenti a tutti per far passare quei contenuti: da allora si è saputo che per comprare una lampadina ci volevano 5, 6, 10, 20 euro, mentre prima costavano un euro al massimo. Questo è un esempio di come la legislazione può molto più del designer. Questi può fare tutti i sogni che vuole, ma una legge fa in quattro e quatrr’otto quello che il designer potrebbe metterci decenni a fare.
Quali sono le leve proprie di un designer?
Quelle tipiche della progettazione per me sono due. La prima è la riduzione: fare con meno possibile. A parità di progetto, vengo chiamato da un’azienda che vuole fare un prodotto. Cosa farò io rispetto a quello che avrebbe fatto un collega privo di scrupoli al posto mio? La prima cosa è provare a usare meno risorse, da tutti i punti di vista. Per me design e sostenibilità vanno insieme in quest’ottica: nell’utilizzo di minori risorse, quel che si chiama reduce, una delle tre R insieme a reuse e recycle. L’altra leva del design è sicuramente la durabilità. Che di solito tende a richiamarsi al fatto che l’oggetto non si rompa, che duri nel tempo come una specie di catafalco indistruttibile… Ma a parte questa durabilità, che è meccanica o fisica, per me c’è un tema di durabilità estetica e di opportunità. L’oggetto deve essere opportuno ed esteticamente tale che il tempo non lo renda fuori moda, fuori tempo. Penso che il design debba occuparsi per assurdo di limitare i segni che si riportano sugli oggetti, perché più l’oggetto è segnato e più ha connessioni con il tempo in cui è stato disegnato, che lo ancorano a quel tempo. Una maggiore neutralità del segno lo scollega, toglie quest’ancora rispetto al tempo in cui l’oggetto è stato disegnato e lo rende potenzialmente più duraturo, un oggetto che può accompagnare la vita delle persone per più anni senza diventare fuori moda.
Ci sono diversi esempi di una tendenza opposta…
È chiaro che un fashion design vistoso produce gli abiti di una stagione, che non vanno più l’anno dopo; questo è il massimo del contrario, l’oggetto è molto segnato, molto collegato al suo tempo, e poi non va più bene. Un tubino nero privo di segni e una fila di perle bianche sono oggetti praticamente privi di segni, che durano da sempre e dureranno per sempre. Questo è un esempio lampante di come dal punto di vista del disegno si può lavorare sulla durabilità meccanico-fisica e anche su quella estetica: queste sono le cose che può fare veramente un designer.
Quelli che può fare un designer sono cambiamenti che arrivano in maniera silenziosa, molto tenue ma costante, una specie di buona volontà che alla fine può averla vinta, aspettando che anche i governi diano strumenti legislativi che sono più potenti. Se da un giorno all’altro ti dicono che i sacchetti di plastica al supermercato non ci sono più, e ti dicono: arrangiati, questo cambia la distribuzione della plastica. Si potrebbe fare per altre mille cose. Faccio l’esempio dei contenitori alimentari. Circa l’80% dei rifiuti in plastica derivano dai contenitori alimentari, bottiglie di plastica in cima. Basta fare la spesa per rendersene conto.
Il legno come rientra in questo quadro?
Il legno è un materiale ecologico quando è estratto dalla natura in maniera controllata, sensata, programmata nel senso della riforestazione. Faccio sempre l’esempio dell’ultimo albero di una specie che sta scomparendo: se lo taglio, quel legno non è molto sostenibile… Il legno è un materiale fantastico, che però va usato con la massima conoscenza e attenzione: oggi ci sono tutti gli strumenti per farlo, è uno di quei materiali che ha sviluppato prima sistemi come quelli di riforestazione, penso alle certificazioni o ai sistemi di raccolta dei materiali post lavorazione, come può essere anche quello che fa capo al consorzio Rilegno, a una serie di iniziative che vanno a raccogliere gli scarti di legno e ne fanno nuova materia. Questa è una cosa che in Italia è successa coi tempi giusti e adeso vede una certa maturità di espressione. Anche tutti i derivati del legno sono materiali super utilizzati e che fanno parte del sistema design, ne sono spesso la struttura portante.