24 Set 2020

Clima: quattro punti per cambiare

Casa, trasporti, cibo, consumi: le cose da fare subito tutti i giorni per contrastare il cambiamento climatico.

Intervista a Luca Mercalli


Luca Mercalli è presidente della società meteorologica italiana,
climatologo e divulgatore scientifico, noto per il suoi libri
e la sua partecipazione a programmi televisivi tra cui Che tempo che fa.

Da vent’anni, con libri, conferenze, programmi televisivi, Luca Mercalli tenta di far comprendere la portata dei cambiamenti climatici e la necessità di cambiare. Il pubblico italiano lo conosce bene per la sua partecipazione a popolari trasmissioni televisive, tra cui Che tempo che fa. Gli abbiamo chiesto di farci un quadro delle cose da fare per contrastare il cambiamento climatico. Non solo a livello di politiche economiche, ma anche nelle abitudini di tutti i giorni.

Professor Mercalli, da dove cominciare?

I campi nei quali possiamo fare qualcosa di utile, per semplificare, sono fondamentalmente quattro: la casa, i trasporti, il cibo e infine i consumi e i rifiuti.

Partiamo dalla casa. La casa è uno dei settori più importanti. Dobbiamo rendere le nostre case più efficienti dal punto di vista energetico, prima di tutto con l’isolamento termico. Il legno può avere un ruolo importante. Io l’ho scelto per la mia casa d’alta montagna a 1650 metri: un cappotto interno, il rivestimento, i serramenti in legno, un vetro triplo basso emissivo, tutto per diminuire il consumo energetico. Anche sul fronte del riscaldamento, in alcune situazioni, il legno può dare una mano. Non lo suggerisco per la città, ma un dispositivo di combustione a biomassa certificato 4 stelline a bassa emissione, moderno (non un caminetto aperto, per intenderci) può avere un ruolo. Dal punto di vista del clima la combustione del legno è neutra, perché il legno arriva dalla fotosintesi, non si brucia carbonio fossile. Se la casa è ben isolata si può riscaldarla con poco legno. Per una casa fatta come una volta ci vogliono anche 100 quintali di legno all’anno; se è ben isolata ne bastano 15. Il sistema può essere coadiuvato da energie rinnovabili, come il solare, che in Italia può dare un grande contributo, sia dal lato del fotovoltaico per l’elettricità (che possiamo usare, ad esempio, per la pompa di calore), sia dal lato del termico per l’acqua sanitaria, che dà anche una mano per il riscaldamento, se la casa è ben isolata.

Per quanto riguarda i trasporti?

Dobbiamo volare di meno. L’aereo è il mezzo che produce maggiori emissioni. Dobbiamo abolire i voli turistici per futili motivi. L’aereo è un mezzo importante se si viaggia per ragioni di salute, di studio o familiari, quando si hanno i parenti in un altro paese. Ma delle vetrine di New York si può anche fare a meno: ci sono tanti posti dove passare una vacanza a breve distanza, raggiungibili anche con il treno. Negli ultimi quindici anni la gente ha preso gusto ai voli low cost e li ritiene ormai un diritto. Ma dove non arriverà una scelta personale arriverà la carbon tax, che darà il vero valore all’emissione: emissione importante, tassa importante. Per andare e tornare da New York si producono 1,5 tonnellate di emissioni, il che dovrebbe portare anche a migliaia di euro di tassazione ambientale: si tornerebbe così a vent’anni fa, quando i voli costavano molto più cari. 

Questo non comporta anche un rischio per la democrazia?

Indubbiamente, ma da qualche parte la CO2 va eliminata. La carbon tax può permettere di redistribuire ricchezza alle fasce più deboli, sotto forma di sgravio fiscale per premiare altre scelte virtuose, come l’installazione di pannelli solari. In questo modo i soldi dei ricchi non andrebbero a confluire nella tassazione generica, ma verrebbero reinvestiti in sostenibilità ambientale. 

E per muoversi in città?

Impariamo a scegliere i mezzi pubblici, ad andare in bici, a piedi o con l’auto elettrica. Che però deve ancora scendere di prezzo e soprattutto deve essere caricata con energie rinnovabili. L’auto elettrica è come un contenitore vuoto, dipende da come la riempiamo: può andare con il sole, con il vento, con l’idroelettrico, ma se la riempiamo con il contenuto di oggi tanto vale che ci teniamo un vecchio diesel a basso consumo, che fa 22 chilometri con un litro. L’auto elettrica ha il vantaggio di ridurre le emissioni nelle aree urbane, ma in ultima analisi dipende dalle fonti energetiche. In Norvegia un’auto su tre è già elettrica e funziona con l’energia idroelettrica. In Cina il carbone la fa da padrone. In Italia andiamo abbastanza bene: l’energia della rete italiana viene al 32-34 per cento da energie rinnovabili. Nel mio caso ho risolto il problema usando pannelli fotovoltaici e sono sicuro che quando carico l’auto elettrica la carico con l’energia che viene dal mio tetto. 

Venendo al cibo?

Dobbiamo ridurre il consumo di carne, che è una fonte importante di emissione di metano. Anche il metano è un potente gas per l’effetto serra ed è emesso soprattutto negli allevamenti di bovini. Come nel caso dell’aereo, non dico che tutti debbano diventare vegetariani, ma bisogna tagliare il consumo di carne in maniera consistente. È meglio mangiare molte verdure e scegliere la filiera corta, evitando prodotti esotici. L’acqua minerale è l’esempio più classico. Spostare un camion o un aereo per trasportare acqua minerale è un’assurdità: bruciare gasolio per spostare acqua! Anche in questo caso la carbon tax è efficacissima. 

Al quarto punto lei citava consumi e rifiuti.

Dobbiamo abolire la logica dell’usa e getta, che ha la sua massima espressione nei piatti e nei bicchieri di plastica. Ma che a volte è occultata, come nel caso dell’obsolescenza programmata: senza saperlo compriamo cose destinate a consumarsi. In Francia l’obsolescenza programmata è diventata un reato: se dimostri che il prodotto è disegnato apposta per rompersi è prevista una sanzione. Dobbiamo lavorare per il riciclo, il riuso, la riparazione, dall’abito al telefonino. 

Poi c’è il lato B del consumo: i rifiuti.

Con le tecniche di economia circolare possiamo ridurre la quantità di rifiuti, ma quelli che restano vanno riciclati e differenziati il più possibile. Questa ricetta complessiva può essere aiutata da una politica di tassazioni che agevolino e accelerino il processo. Per quanto riguarda i rifiuti, la Ue ha stilato una graduatoria della filiera. Al primo posto figura la riduzione alla fonte: progettare oggetti che producono pochi rifiuti. È una strategia che non darà risultati stasera, ma in un ragionevole numero di anni. Al secondo posto c’è il riciclo, al terzo la termovalorizzazione, al quarto la discarica. I termovalorizzatori sono necessari per alcune categorie di rifiuti, per esempio quelli ospedalieri. Non si tratta di farne di nuovi, ma di gestirne un piccolo numero per usi particolari, mentre gli altri gradualmente dovranno arrivare a spegnersi, se parte la filiera con i primi due punti precedenti. 

Ma da cosa dipende, in ultima analisi, la riuscita di una strategia ambientale di questo tipo? 

Al 50 per cento da noi stessi e al 50 per cento dalla politica. Dovremmo camminare a braccetto, un gesto noi e uno la politica. Ma il fatto di cominciare a farlo noi è importante perché garantisce l’accettazione sociale, altrimenti le leggi diventano impopolari e la gente scende in piazza con i forconi. I paesi nord europei hanno una cultura media maggiore e leggi migliori proprio perché sono rinforzate dall’atteggiamento dei cittadini. In Italia questo manca, ed è un continuo balletto: i cittadini danno la colpa al politico, che non appena agisce è criticato. La tassa più banale è l’aumento del prezzo della benzina: ma immaginiamo cosa ne sarebbe il giorno dopo del politico che ne avesse aumentato il prezzo… Prima si deve costruire un’accettazione sociale, poi gradualmente occorre attivare i processi di politica economica, il più possibile internazionali: se Trump non lo fa, tutte le fabbriche andranno in America, oppure in Cina, dove possono inquinare. Non per niente l’accordo di Parigi chiederebbe la tassazione sull’energia fossile in modo omogeneo in tutto il mondo.

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