19 Dic 2025

Basta con la retorica dell’apocalisse

Gli slogan ecologisti offuscano le menti, mentre servono obiettivi chiari

di ANTONIO PASCALE

Se la domanda è: visto il cambiamento climatico di origine antropica, causato dalla continua emissione di CO2 e derivati, sostanze altrimenti dette climalteranti e che ad oggi hanno toccato la punta di 400 ppm (in epoca preindustriale la quantità era pari a 287 ppm); considerato che l’aumento delle temperature (a quanto pare diffuso ma non esponenziale) causerà problemi di ogni sorta al pianeta, vuoi tu lottare per abbassare le suddette emissioni, impegnandoti con un’efficace logistica a portare avanti il programma?

A questa domanda (che come quelle di alcuni referendum non è scevra di complessità), la maggior parte di noi per fortuna risponde: sì, certamente! Nella sostanza la maggior parte di noi concorda con gli obiettivi, i problemi nascono quando ci confrontiamo con gli strumenti da usare per raggiungere l’obiettivo. E’ in questa fase che cominciano le discussioni, le litigate. Siamo tutti amici e fratelli e compagni di lotta quando parliamo di obiettivi, siamo quasi nemici quando ci confrontiamo sull’utilità o meno di alcuni strumenti per raggiungere l’obiettivo: viviamo in un paradosso. Le litigate più feroci, insensate, sfiancate sono quelle che quotidianamente si portano avanti con gli ecologisti – per non generalizzare, qui rubrichiamoli sotto la voce eco conservatori. Il movimento ecologista che da anni concentra giustamente la sua attenzione sulla qualità dell’ambiente, convinto che se miglioriamo l’ambiente miglioriamo anche noi (tesi su cui si può concordare) presenta tuttavia imbarazzanti punte di scetticismo verso la logica. Ci sono gli scettici del cambiamento climatico e gli scettici della razionalità, questi ultimi sono gli ecologisti conservatori. Gli ecologisti conservatori da decenni portano avanti le proprie campagne sotto la bandiera della retorica dell’apocalisse, ossia la convinzione che mancano (simbolicamente) poche ore alla fine del mondo, è già troppo tardi e che soprattutto il problema siamo noi, noi sapiens, ecc. Campagne siffatte ripetute da decenni agitano gli animi di tutti e in genere ottengono tre effetti, diversi ma uguali.

Il primo, a forza di metterci paura smettiamo di ragionare. Del resto, è un noto meccanismo di difesa, quando avvertiamo un pericolo, alcuni di noi si immobilizzano, così è per la retorica dell’apocalisse: se è imminente la fine del mondo, se non c’è niente che posso fare, allora non posso fare altro (scusate il bisticcio) che star fermo e sperare che il pericolo passi. Secondo effetto correlato al primo: visto che domani muoio, oggi me la godo, mi vado a divertire, spendo e spando. Terzo effetto: a forza di blocchi stradali, monumenti imbrattati, annunci clamorosi di apocalisse per l’indomani, a forza di stress (per i blocchi stradali), di nervosismo e di ansia, a forza di ripetere che il problema siamo noi, manifestando così facendo una totale sfiducia nell’essere umano, molti di noi diventano scettici, cioè pensano che se si grida al lupo al lupo, ma il lupo non arriva allora il problema non esiste. Se fate la somma dei tre effetti e tracciate la mediana potrete osservare il suddetto scetticismo verso la razionalità: chi ha paura ed è vittima di emozioni forti e correlate con l’ansia, poi ha più difficoltà a ragionare caso per caso, elencare le priorità, accettare l’inevitabile, studiare tanto e prepararsi razionalmente per evitare il peggio. A sua volta, chi si va a divertire si concentra sul qui e ora e non ha tempo di pensare al domani. Infine chi si dichiara scettico sottovaluta il range di problemi che abbiamo davanti.

Insomma, sotto stress non abbiamo desiderio di valutare o meno l’efficacia o meno di uno strumento e tendiamo a offrire soluzioni lampo a suon di slogan. Giusto per fare un esempio, Net Zero 2050 con rinnovabili a tutto spiano. . E’ chiaro che un programma simile, zero emissioni, necessita di un discorso serio: abbiamo la logistica, gli investimenti, la competenza, le persone, riusciamo a far parlare discipline diverse per mettere in comune le esperienze? Qual è la risposta? Facciamoci un bagno di realtà, cioè nei dati: nel 1997 la quota di energia totale derivata dai fossili si attestava all’86% e nel 2022 si è fermata a un sorprendente 82% (il rimanente è il risultato dell’idroelettrico, del nucleare e una minima parte del solare ed eolico). Questa è purtroppo la risposta. A parte che di fronte a questi dati viene da sottolineare la contraddizione che dobbiamo saper affrontare: la nostra ricchezza, il nostro benessere, la qualità della vita sono tutti basati su carbone, petrolio e gas (sono economici e con poco volume producono molta energia). Ovvio che non possiamo continuare a usare i fossili, a parte il cambiamento climatico, è insensato scavare miniere e consumare risorse (ogni anno estraiamo dieci miliardi di tonnellate di carbone), risorse che poi vanno lavorate con costosi processi industriali (pensate solo a che significa raffinare il petrolio). Tuttavia, se dopo venticinque anni di slogan, campagne elettorali, blocchi stradali, opere d’arte insudiciate, rabbie e frustrazioni, ansie da fine del mondo, soldi spesi per incentivare fonti alternative, se insomma dopo venticinque anni la quota di energia ricavata dai fossili è scesa di un misero 4%, allora viene il dubbio che le percentuali da raggiungere siano state estratte con il lotto. Voglio dire, se ci si avventura nel dichiarare che tra ventiquattro anni, ovvero nel 2050 dobbiamo arrivare a zero emissioni, allora abbiamo un doppio problema: stiamo andando avanti per slogan, senza fare seriamente i conti sullo stato dell’arte, senza analizzare con serietà il funzionamento del mondo, ovvero come (con che materia) otteniamo la necessaria energia per vivere, contestare, fare blocchi stradali ecc. E abbiamo un problema soprattutto perché in un’ottica emotiva, e non razionale, proponiamo di utilizzare solo quegli strumenti che, diciamo così, fanno simpatia e apparentemente sembrano gratis, e ne disprezziamo altri che sono meno emotivi ma tuttavia potrebbero (logicamente) aiutarci ad abbassare le emissioni. La sensazione insomma è questa: stiamo abbassando l’asticella così ci sembra facile superarla e se i dati ci dicono il contrario allora peggio per i dati. Forse sarebbe meglio porci obiettivi realistici, sarebbe meglio usare la logica e la razionalità, integrare gli strumenti e studiare tantissimo. L’incompetenza è il peggiore inquinante, non solo in campo ambientale. Diciamo che è il combustibile fossile che accende retorica dell’apocalisse, quella che promuove ansia, nervosismo, emotività e allontana la razionalità e l’analisi e insomma promuove quel circolo vizioso in cui siamo caduti.

Per approfondire (suggeriti da Antonio Pascale)

LIBRI

Ed Conqay La materia del mondo, una storia del mondo in sei elementi, Marsilio 2023

Vaclav Smil I numeri non mentono Einaudi 2021

FILM

Stalker di Andrey Tarkovskji, 1979

Antonio Pascale, giornalista e scrittore, vive a Roma, scrive per il teatro e la radio, collabora con Il Mattino, Il Post, Lo Straniero e Limes

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