23 Mag 2025

Addio greenwashing

Cosa cambia con la nuova direttiva sulle comunicazioni sleali

Intervista a ROBERTA IOVINO

Come nasce la normativa sul green claim?

La direttiva n. 825 del 2024 ha modificato la n. 29 del 2005 che è la normativa di riferimento sulle pratiche commerciali sleali. Qualsiasi messaggio, logo, comunicazione anche audiovisiva che faccia pensare al consumatore che un prodotto, un servizio, un’attività possa essere benefica o avere un ridotto impatto sull’ambiente è definito green claim, cioè asserzione che rivendica una caratteristica ambientale del prodotto, del servizio o del trader. Per esempio, “green shampoo”, “confezione sostenibile”, “siamo responsabili verso l’ambiente”, o una gamma di prodotto con un marchio come “green care” o simili.

Quali sono state le evoluzioni che hanno portato alla modifica della normativa?

Il Green Deal europeo ha affermato che per evitare il greenwashing, cioè evitare di ingannare i consumatori, bisogna spingere le aziende a basarsi su una metodologia condivisa per calcolare gli impatti ambientali, e quindi formulare affermazioni più corrette e sostanziate in questo ambito. Un’intenzione ripresa dal Circular economy action plan, che propone la PEF (Product Environmental Footprint) europea, una metodologia standard per calcolare in modo scientifico e condiviso l’impatto ambientale nell’intero ciclo di vita di prodotti e servizi. L’obiettivo è quello di evitare l’utilizzo di termini come green, eco, riciclato, riciclabile, sostenibile, biodegradabile, senza una metodologia condivisa. Successivamente, sono state formulate due proposte di direttive: una è quella confluita nella n.825 del 2024, l’altra è contenuta nella comunicazione n.166 del 2023 il cui iter di approvazione è ancora in corso.

Quali le novità introdotte dalla direttiva n. 825?

Non potranno più essere usati claim generici di tipo ecologico, se non si ha una prova concreta dell’eccellenza delle prestazioni ambientali. E’ il caso, per esempio, di un’etichettatura di tipo 1 come l’ecolabel, o di una certificazione dell’eccellenza che si basa sulle logiche di ciclo di vita o equivalenti, come Iso 14024 o altra norma applicabile dell’Unione. Così in presenza di un prodotto realizzato con materiale riciclato, si potrà dire che è green o ecologico solo con una prova dell’eccellenza. Un altro divieto molto importante che è stato inserito riguarda i claim sulla neutralità climatica: spesso si legge carbon neutral, oppure “a emissioni zero”. Ma la direttiva 825 vieta questi tipi di claim del prodotto se sono basati su offsetting, cioè su compensazioni attuate dall’azienda tramite l’acquisto di crediti di carbonio per compensare le emissioni del prodotto al di fuori della propria catena del valore. Anche l’esibizione da parte dell’impresa di qualsiasi marchio/logo di sostenibilità non basato su un sistema di certificazione indipendente rientra tra i nuovi importanti divieti. Altre novità introdotte dalla direttiva 825 riguardano previsioni ambientali sul futuro, come per esempio “utilizzeremo solo materiali riciclati entro il 2030”. Non si potranno più fare questi claim senza avere a disposizione dati “pubblicamente disponibili e verificabili in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise”.

Quali i tempi di applicazione e le sanzioni previste?

La direttiva è entrata in vigore nel marzo 2024, e sono previsti due anni per il recepimento. Le previsioni saranno vincolanti per tutte le aziende da fine settembre 2026. Il singolo Stato membro dovrà individuare l’autorità di riferimento – in Italia al momento è l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) – per il controllo del rispetto dei requisiti. Per le sanzioni non ci sono state modifiche all’ultima versione del 2005 e dunque il massimo erogabile è di 10 milioni di euro. Per le aziende insorgono ulteriori rischi reputazionali: con una sentenza di greenwashing l’autorità può condannare l’impresa non solo a ritirare il messaggio pubblicitario ingannevole dal mercato, ma anche a pubblicare la sentenza sui propri canali per informare i clienti.

La proposta di direttiva inserita nella comunicazione 166 del 2023 cosa contiene?

Definisce l’explicit green claim come asserzione ambientale testuale o verbale o inclusa in un logo di sostenibilità e istituisce un meccanismo di verifica ex ante del claim, prima che l’azienda lo possa utilizzare sul mercato. Oggi ci sono casi di aziende che producono claim ingannevoli, ma non vengono denunciate perché esso passa inosservato. Se la proposta di direttiva n. 166 diventerà legge, l’azienda dovrà produrre un fascicolo tecnico per dimostrare che il claim ambientale che intende utilizzare sul mercato soddisfa una serie di requisiti minimi. Dovrà inoltre provare di utilizzare evidenze scientifiche ampiamente riconosciute e comunicare informazioni rilevanti in una logica di ciclo di vita. Dal vantaggio ambientale che si pubblicizza non devono derivare peggioramenti significativi in altri indicatori ambientali rilevanti: per esempio, si potrebbe avere meno impatto sul cambiamento climatico ma più sull’impronta idrica. A quel punto, una parte terza verificherà che effettivamente questi criteri siano rispettati e rilascerà un certificato di conformità. L’obiettivo è quello di lasciare sul mercato solo claim sostanziati e trasparenti, basati su metodologie riconosciute.

Per approfondire

LIBRI

Fabio Iraldo, Michela Melis Oltre il greenwashing. Edizioni Ambiente 2020

DOCUMENTARI

Cowspiracy: the sustainability secret di Kip Andersen2014

Seaspiracy di Ali Tabrizi 2021

Sei ciò che mangi di Louie Psihoyos 2024

PODCAST

Sostenibilità for beginners, Gi Ascoltabili

Roberta Iovino
Roberta Iovino è ricercatrice presso l’Istituto di Management della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa all’interno del SuM (Sustainability Management laboratory)

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