05 Ago 2025
I giovani sanno ciò che i sapiens negano
Il cambiamento climatico non si combatte solo con l’intelligenza artificiale, ma con una rivoluzione culturale.
Intervista a MARIO TOZZI
Come vede l’atteggiamento dei giovani verso il cambiamento climatico?
Le giovani generazioni si sono date molto da fare, a partire dai Fridays for future che da diversi anni sanno catturare l’attenzione molto meglio di quel che, anni fa, sapevamo fare noi. Le nostre manifestazioni più che altro si occupavano di scuola. Oggi si parla, invece, di questioni cruciali per il futuro, per il benessere delle prossime generazioni: ci hanno prestato il mondo e dobbiamo restituirlo in condizioni adeguate. Poi vi sono i ragazzi di Extinction Rebellion che non mi sento affatto di condannare finché non fanno danni. Vedo bene i giovani d’oggi, mi sembrano coerenti e informati, hanno i loro simboli, Greta Thunberg ma anche il Papa. Mi sembra che questo sia positivo.
E nelle piccole azioni quotidiane?
Ci sono anche quelle: i giovani vanno in giro con le biciclette, hanno le borracce riciclabili, cercano di essere un po’ più coerenti di quanto non siamo noi. E poi danno importanza alla scienza e alle sue conclusioni: sulla crisi climatica gli scienziati hanno una sola voce, e i giovani sono gli unici ad averlo capito. Gli adulti come noi pensano che gli scienziati abbiano voci diverse, che litighino sul clima, sulle cause del cambiamento climatico: non è vero, pensano tutti che si tratti di un cambiamento globale anomalo e accelerato rispetto al passato che dipende dagli uomini stessi. Loro, i giovani, l’hanno capito benissimo.
Perché chi ha le leve, la possibilità reale di incidere, non ha la capacità di ascoltarli?
Perché sono in crisi di malafede da ideologia del liberismo. Non vogliono regole al libero mercato, quindi non ascoltano i ragazzi che chiedono invece che sia regolamentato per legge. Non risolvono nulla, sono anzi parte del problema.
L’atteggiamento dei giovani ci autorizza ad essere ottimisti sull’evoluzione della situazione?
No, perché a un certo punto i giovani diventano vecchi, e nati incendiari finiscono per morire pompieri. E comunque nessuno ha intenzione di ascoltarli, vengono addirittura repressi: sono state fatte leggi repressive apposta per non fare manifestazioni eclatanti, per non bloccare le strade. Sono stati impauriti e vengono ancora impauriti. Tutto ciò non va affatto nel senso della mitigazione della crisi, ma la aggrava. Non sono ottimista per niente.
Cosa deve succedere perché le azioni di protesta dei giovani possano innescare un cambiamento reale?
Più disastri idrogeologici, più povertà, più migrazioni per ragioni climatiche. Che si aggravi la situazione fino al punto in cui il sapiens non si tiri indietro. Fino ad ora abbiamo minimizzato, fatto finta di niente, pensato che il problema arrivasse domani, che ci sarebbero state soluzioni tecnologiche. I sapiens cominciano a muoversi bene solo sull’orlo del baratro: ci sono già, ma non se ne sono accorti.
La tecnologia può avere un ruolo decisivo?
No. IL problema non si risolve con le tecnologie. Domani ci sarà forse la possibilità di avere qualche strumento tecnologico che oggi non riusciamo nemmeno a immaginare; può darsi, non lo so. Però quello che conta è l’oggi, e nell’oggi la tecnologia non ci aiuta, anzi. Si raschiano ancora di più i combustibili fossili e si bruciano, si continuano a predisporre pozzi, a fare ricerca che invece dovrebbe essere abbandonata. Per stare al di sotto di un grado e mezzo di aumento della temperatura media dell’atmosfera (sappiamo già che non ci arriveremo) dovremmo lasciare sotto terra il 90% del carbone e il 60% del gas e del petrolio, ma nessuno lo fa. Non dovremmo dare più un euro di sussidio pubblico ai petro-carbonieri, invece gliene diamo sette trilioni di dollari l’anno, negli ultimi quattro anni solo in Italia quattro o cinque miliardi. Non dovremmo cercare più giacimenti né dare sussidi pubblici: queste sono le prime due mosse che uno Stato serio dovrebbe imporre per andare verso la riduzione delle emissioni. Niente più soldi pubblici e niente più trivellazioni.
L’intelligenza artificiale può aiutare oppure peggiora le cose perché consuma molta energia?
Sono vere tutte e due le cose: grazie all’AI potremmo fare una simulazione corretta di dove arriverà la prossima inondazione casa per casa, potremmo prevedere meglio l’utilizzo delle risorse. L’intelligenza artificiale potrebbe avere un ruolo, ma non risolutivo: la questione è culturale, non tecnologica, e l’intelligenza artificiale di fatto è ancora tecnologia pura. E’ dal punto di vista culturale che non abbiamo capito la gravità della situazione. Ci sono addirittura quelli che negano che sia in atto un cambiamento climatico, figuriamoci.
Per approfondire (suggeriti da Mario Tozzi)
LIBRI
Naomi Oreskes, Erik M. Conway, Mercanti di dubbi: come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale Edizioni Ambiente, 2020
FILM
Don’t look up di Adam McKay, 2021
