27 Apr 2021

L’economia circolare? È nei nostri cromosomi

La mancanza di materie prime ha spinto gli italiani a usare una grande fonte di energia rinnovabile: l’intelligenza umana  

Articolo di Ermete Realacci

L’economia circolare è una parte importante della transizione verde, della green economy. Se si vogliono ridurre le emissioni di CO2, e l’obiettivo dell’Europa è raggiungere la neutralità entro il 2050, l’economia circolare svolge un ruolo fondamentale, perché molte delle sue attività incidono sulla riduzione delle varie forme di inquinamento, a cominciare proprio dalle emissioni di CO2. L’Italia è in Europa una superpotenza dell’economia circolare, anche se pochi lo sanno perché il nostro Paese è poco abituato a vedere i suoi punti di forza e molto invece a vedere i suoi limiti, spesso senza affrontarli peraltro. Secondo i dati Eurostat l’Italia è in assoluto il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: 79%, il doppio della media europea (39%) e molto più degli altri grandi Paesi (la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%). Non solo. Complessivamente, la sostituzione di materia seconda nell’economia italiana comporta un risparmio pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di CO2. Si tratta di valori equivalenti al 14,6% della domanda interna di energia e al 14,8% delle emissioni climalteranti (2018). Per ogni chilogrammo di risorsa consumata, l’Italia genera – a parità di potere d’acquisto (Pps) – 3,6 € di Pil contro una media europea di 2,3 € e i 2,5 € della Germania o i 2,9 € della Francia. L’economia circolare diventa mainstream e tutti i settori ricorrono in maniera più consistente a materiali di recupero, anche nelle produzioni di fascia alta (ad esempio gli agglomerati di quarzite o l’arredamento di design). E l’industria italiana del legno arredo è prima in Europa in economia circolare: il 93% dei pannelli truciolari prodotti in Italia è fatto in legno riciclato.

Questi risultati non sono dovuti tanto a leggi e decreti ma ai nostri cromosomi, all’antropologia produttiva italiana: siamo un paese povero di materie prime, quindi nel corso dei secoli siamo stati spinti, costretti, a usare quella grande fonte di energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. E abbiamo costruito filiere produttive che sono più efficienti: gli stracci di Prato, i rottami di Brescia, le cartiere della Lucchesia. Non sono risultati da contemplare e sono frutto di un continuo processo di innovazione e miglioramento, ma rappresentano un ottimo punto di partenza anche per utilizzare al meglio le risorse del Recovery Fund e più in generale del progetto Next Generation Eu. Si ha a volte l’impressione che questo programma importantissimo per affrontare la crisi attuale e preparare il futuro sia trattato nel dibattito pubblico come una sorta di lotteria: ognuno tira fuori dal cassetto i progetti che ha da tanto tempo e prova a vedere se gli va bene. In realtà l’Europa si sta muovendo con grande visione e lucidità, perché ci dice che il Recovery Fund va destinato a tre blocchi di questioni: sanità, inclusione e coesione; transizione verde e lotta ai cambiamenti climatici; digitale. La partita della lotta ai cambiamenti climatici, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen l’ha detto con nettezza, è centrale: il 37% di questi fondi, che, ricordo, per l’Italia ammontano a 209 miliardi di euro tra i vari strumenti, quindi alla bellezza di 78 miliardi di euro, va destinato ad affrontare la crisi climatica. E l’economia circolare è centrale in questa sfida che punta anche a dare maggior forza alla nostra economia. Perché, come afferma il Manifesto di Assisi promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento, “affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta anche una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”. Il nostro Paese con la sua storia e le sue culture può dare un contributo importante. Questo vale in maniera particolare anche nel settore del legno.

L’Italia, in base agli ultimi dati disponibili, è il secondo esportatore di legno arredo al mondo dopo la Cina; è leader nel recupero del legno, leader europeo e mondiale nei pannelli truciolari, le nostre aziende sono tra le migliori del mondo. Questo ha molto a che vedere con la filiera del recupero del legno, e sempre più dovrà essere così, collegandosi anche all’utilizzo e alla gestione di un patrimonio forestale in crescita: siamo il secondo esportatore al mondo nel legno arredo ma importiamo l’80% della materia prima. E piantare alberi e produrre legno è una delle azioni più efficaci per assorbire la CO2 e migliorare l’ambiente: una classica politica winwin. Oggi, nel momento in cui una parte importante dell’economia e della politica mondiale si sposta in quella direzione, questo è ancora più vero. Siamo di fronte a una partita di grande importanza dal punto di vista ambientale, tecnologico, di innovazione e economico, perché è la base della futura competizione globale. L’Italia ha molto da dire proprio perché parte avvantaggiata dai suoi cromosomi: il nostro posizionamento, in questo come in altri settori, è legato a una economia che ha prodotto non solo bellezza e qualità ma anche processi innovativi per fare i conti con i limiti che avevamo, e spesso un rapporto positivo con territori e comunità.

“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla.” Ha ragione Papa Francesco. Oltre a gestire al meglio l’emergenza limitando i danni sanitari e sociali, dobbiamo lavorare da subito per un futuro migliore. L’Europa in questa drammatica crisi ha saputo guardare oltre superando rigidità ed egoismi, ritrovando la sua anima e rinnovando la sua missione. La sfida che ci attende richiede che vengano mobilitate energie economiche, tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Sono convinto che l’Italia può fare la sua parte.


Ermete Realacci, ambientalista e politico italiano, è presidente onorario di Legambiente.

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