30 Apr 2020

Tre temi per la sostenibilità

Giustizia sociale, prosperità climatica e multilateralismo gli obiettivi urgenti per difendere la nostra casa comune

di Enrico Letta


Enrico Letta è Dean della Paris School of International Affairs presso Sciences Po Paris ed ex Presidente del Consiglio italiano.

Articolo tratto dal primo numero della nuova rivista Walden, il mondo sostenibile di Rilegno.

Non esiste sfida più grande di quella della sostenibilità. Insieme agli equilibri del pianeta, infatti, è la nostra stessa specie ad essere in pericolo. E non siamo nel campo delle ipotesi o di teorie contrastanti, ma è la comunità scientifica tutta a confermare da un lato l’insostenibilità dell’attuale paradigma di sviluppo e, dall’altro, la magnitudine e l’urgenza dei cambiamenti necessari per assicurare un futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti.

L’importanza della posta in gioco l’hanno capita, prima di tanti altri, proprio loro. Milioni di ragazze e ragazzi da mesi invadono le strade di tutto il mondo, chiedendo azioni concrete, non parole o slogan vuoti alla ricerca di consenso. Uno dei grandi rischi, infatti, è quello che la lotta al cambiamento climatico possa diventare, per alcuni, una moda del momento destinata a scomparire in breve tempo. Non possiamo permettercelo.

Sulla questione della sostenibilità, la politica deve avere la forza di svincolarsi dal presentismo e avere come orizzonte i prossimi decenni, prendendo impegni seri da subito.

Sulla questione della sostenibilità, la politica deve avere la forza di svincolarsi dal presentismo e avere come orizzonte i prossimi decenni, prendendo impegni seri da subito. Vedo tre grandi temi legati alla sostenibilità e verso cui si deve indirizzare un lavoro comune: giustizia sociale, prosperità e multilateralismo.

Primo, la giustizia climatica. Non mi stanco mai di ripetere che esiste un nesso fondamentale tra cura dell’ambiente e giustizia sociale. La transizione ad un’economia a emissioni zero deve essere equa; deve, cioè, tenere conto del contesto esistente in cui viene applicata e degli effetti redistributivi che genera. In concreto, questo significa evitare un “effetto gilet gialli”, dove sono i meno abbienti a dover sopportare sproporzionatamente il peso della transizione rispetto ai più ricchi.Ma il paradigma di equità va applicato anche al mondo produttivo. Da un lato, chi inquina di più deve pagare di più, mentre vanno agevolate e premiate le imprese virtuose che investono nella sostenibilità socio-ambientale. Dall’altro, servono adeguati strumenti di accompagnamento – reskilling dei lavoratori in primis – per quei settori i cui modelli di business sono maggiormente interessati.

Il ruolo dei produttori è centrale anche per il secondo tema che definisco prosperità climatica. Con questa espressione intendo contestare l’idea diffusa che per difendere il pianeta si dovrebbe abbandonare ogni idea di crescita e di prosperità. In realtà, è vero il contrario: la sostenibilità conviene! L’economia verde, infatti, genera profitti; fa bene al pianeta e anche alle imprese che la applicano con serietà. Si vede nei loro indici di produttività, nella forza del brand, nel rapporto con i territori in cui operano. È chiaro, però, che è compito della politica promuovere la prosperità climatica e innescare comportamenti virtuosi di produttori e consumatori. Un esempio su tutti è rappresentato da un paradigma chiave per la sostenibilità e settore in cui, tra l’altro, l’Italia è tra i leader mondiali: l’economia circolare. Favorirla significa immaginare interventi di sistema finalizzati a responsabilizzare gli attori economici verticalmente – lungo tutta la filiera – e orizzontalmente – per tutta la vita dei prodotti.

Quanto detto finora non è sufficiente, se non si chiama in casa il cosiddetto “livello globale”. È evidente, infatti, che l’ordine di grandezza delle misure necessarie per salvaguardare il pianeta richiede l’impegno di tutti. Serve, cioè, un efficace multilateralismo climatico, rilanciato dalla COP21 di Parigi, nel 2015, che non può restare lettera morta. In questo ambito l’Europa non può limitarsi a fare il suo dovere – già compito tutt’altro che facile – ma deve avere la forza necessaria per esigere serietà dagli altri attori globali. E qui, un’unità di fondo è condizione fondamentale, al di là della frammentazione geopolitica a cui stiamo assistendo. 

In questo senso, è un segnale incoraggiante che la prossima conferenza multilaterale sul clima, la COP26 del 2020, sarà congiuntamente ospitata da Italia e Regno Unito a dimostrazione del fronte comune europeo, nonostante la Brexit. D’altra parte, la difesa della nostra casa comune richiede proprio questo: distinguere ciò che è contingente da ciò che è essenziale e da cui non si può più tornare indietro.

Apri e sfoglia Walden, il mondo sostenibile di Rilegno

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