05 Ago 2020

Ripartire dal bosco

Il testo unico sulle foreste primo strumento per l’utilizzo sostenibile del patrimonio boschivo.

Intervista a Raoul Romano

Raoul Romano, ricercatore, esperto di economia e politica forestale.

La sfida del futuro è ripartire dal bosco, un patrimonio tra i più ricchi d’Europa per diversità e specie, che può essere fonte di sviluppo, innovazione e benessere. “Il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (Tuff) è nato su queste basi: ritrovare l’equilibrio che ha caratterizzato per secoli il rapporto tra le esigenze dell’uomo e le necessità dell’ambiente, tra utilizzazione e tutela, attraverso la ‘gestione sostenibile’. L’idea di una legge quadro che riconoscesse il ruolo ambientale e i valori culturali del bosco per arrivare alle sue diversificate filiere produttive per l’Italia è rivoluzionaria” commenta Raoul Romano, ricercatore Osservatorio Foreste CREA Politiche e Bioeconomia e referente tecnico del Mipaaf nel processo di redazione del Testo unico.

Uno sfruttamento sostenibile non è un’utopia?

Assolutamente no. Anche se preferisco parlare di “utilizzo sostenibile”, ossia un’azione mirata volta a salvaguardare le foreste nella loro estensione, distribuzione e diversità ecologica e bio-culturale, garantendo allo stesso tempo i prodotti e i servizi che il legno e le foreste possono fornire. È utopia pensare al bosco come patrimonio inviolabile. Utilizzare i nostri boschi, attraverso una gestione attenta e con tagli e prelievi che rispettino i cicli di vita delle piante, significa coltivare la speranza per un futuro migliore. Significa garantire un efficace sistema di uso a cascata dei materiali legnosi attraverso un processo sostenibile, la cui mancanza penalizza oggi il sistema Paese. 

Come garantire l’interesse pubblico prelevando maggiori quantità di legname dai boschi? L’Italia è uno dei Paesi europei con il tasso di utilizzo più basso (meno di un quarto di quanto ogni anno i boschi producono) e la più alta incidenza di aree sottoposte a vincoli ambientali. Non si tratta però di prelevare maggiori quantità, ma di prelevarle meglio, incrementando la qualità e la resistenza dei boschi esistenti. Più di due terzi del legno prelevato oggi dai boschi nazionali ha un fine energetico e l’approvvigionamento estero di legname e semilavorati per l’industria italiana rappresenta circa l’80 per cento del fabbisogno. È paradossale, se si considera che quella italiana è sempre stata una società agrosilvopastorale e che la selvicoltura è connaturata storicamente alle nostre comunità rurali. Una gestione forestale attiva è parte della nostra cultura ed è già stata codificata in diverse norme, sin dall’Italia preunitaria. 

Ci sono altre urgenze per tornare a reinvestire sulla cura del bosco? Primo, abbiamo l’obbligo di tutelare e proteggere il bosco dagli effetti indotti dai cambiamenti climatici. Secondo, abbiamo l’opportunità di tornare a valorizzare il materiale legnoso, non solo incrementando l’assorbimento della CO2 dai boschi, ma sfruttando anche il legno in sostituzione di materiali dall’impronta carbonica spropositata, come cemento e plastiche. Ricordiamoci poi che per l’Italia l’approvvigionamento da Paesi esteri di materiali legnosi ha ripercussioni in molti casi nefaste per ecosistemi fondamentali e società politicamente ed economicamente fragili. Approvvigionarsi dall’estero sarà sempre più difficile. 

Ci sono esempi in Europa di Paesi che hanno già investito più dell’Italia su questo principio di gestione a cascata della filiera legno?

Certo. In primo luogo è solo italiana l’idea che la lotta al cambiamento climatico e alle emissioni climalteranti possa realizzarsi grazie alle foreste. Una politica di mitigazione seria parte dalla riduzione delle emissioni industriali, civili, dei trasporti e agricole, utilizzando le foreste per compensare le emissioni residue. In Austria, Germania, Francia e Spagna l’uso a cascata del legno è già molto più diffuso che in Italia. I prodotti di alta qualità e di valore hanno un mercato primario e possono successivamente anche essere riciclati in altre filiere. Le ramaglie e le segature vanno a produrre biomasse energetiche ma la progettazione degli impianti e dei sistemi energetici da biomasse deve essere accurata e sostenibile. È più utile dimensionare gli impianti sulla quantità disponibile nel corto raggio e proveniente da differenti fonti, che pianificare grandi centrali per poi dover reperire il materiale all’estero. Tener fermo il principio della circolarità e ridimensionare gli impianti sull’effettiva capacità di approvvigionamento sarà uno dei passi necessari nel prossimo futuro. 

Con il Testo unico si sono messi dei punti fermi?

Per prima cosa si è fatta sintesi in un quadro normativo nazionale e regionale troppo dispersivo, in cui ruoli e funzioni si sovrapponevano e gli interessi si scontravano. L’Italia non stava valorizzando il patrimonio boschivo e non stava investendo sui servizi e sui beni che una gestione forestale sostenibile può generare. Occorreva passare da una normativa sanzionatoria ad una premiante, credere nell’investimento su un ciclo a cascata e sul riutilizzo intelligente delle risorse per poi costruire un percorso a sostegno del legno italiano. Ora la palla passa alle Regioni, che avranno il compito di declinare gli indirizzi nazionali. Penso che la legge, attesa da anni, sia riuscita nell’intento di proporre una nuova visione e di attualizzare un paradigma: la gestione del bosco può creare contemporaneamente sviluppo socioeconomico e tutela ambientale, e rappresenta l’unica arma verso un futuro migliore. Del resto la nostra civiltà e le più grandi imprese umane sono nate tutte da “gusci di legno”. 

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