23 Ott 2020

Dal bosco all’orchestra

Manualità, emozione e attenta scelta della qualità del legno nel lavoro di un grande maestro liutaio.

di RICCARDO BERGONZI

Riccardo Bergonzi, maestro liutaio a Cremona, per i suoi strumenti ha vinto prestigiosi premi internazionali.

Per un liutaio lavorare il legno è un piacere, come un’attività scultorea. Io ne ho un assoluto bisogno. Se non faccio un violino dall’inizio, mi manca il suono del legno che si stacca piano piano, che ti coinvolge e ti affascina. Hai la sensazione di sapere quale tipo di suono ti potrà dare il violino già lavorando il legno, in base a come suona tra le mani, a quel suo gracchiare sotto le mani, che è già un canto. Il legno ti dà emozioni forti: ne senti il profumo, lo tocchi, lo sbricioli e ti viene spontaneo mettere un truciolo in bocca. È un rapporto molto forte, quasi corporale. Da qualche tempo ho un problema al gomito destro, ma non mi sono fermato: con l’aiuto di una fascia elastica vado avanti comunque a scavare. Si parte da un blocco pieno e si usano sgorbie, piallette, rasiere, seguendo una serie di passaggi che sono gli stessi di trecento anni fa. Un lavoro di scultura che può avere tante variabili difficili da standardizzare: quando si lavora a mano il risultato è sempre diverso. 

Il legno per un liutaio è praticamente tutto, la materia principale con cui ha a che fare tutti i giorni. Per ottenere un manufatto di un certo livello è importantissimo fare scelte oculate, dalla qualità intrinseca del materiale fino alla stagionatura. Per il quartetto d’archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso) si utilizzano due tipi di legno: per il fondo, la fascia e la testa l’acero dell’Europa dell’est, in particolare della zona balcanica dell’ex Jugoslavia; per la tavola l’abete rosso delle Alpi, specie quello della val di Fiemme. Per fondo, fascia e testa, infatti, ci vuole un legno che abbia tenuta e sia respingente, dal momento che non deve assorbire la vibrazione bensì respingerla. Per la tavola, che riceve la vibrazione delle corde tramite il ponte, ci vuole invece un legno adatto alla trasmissione del suono, che determina in gran parte il risultato finale. Come l’abete rosso della val di Fiemme, detto appunto di risonanza, che non ha eguali. È perfetto per peso specifico, tenuta, flessione, propagazione del suono, ed è utilizzato anche per il tavolo del pianoforte e del clavicembalo, per i liuti, per le canne d’organo in legno che stanno dietro a quelle metalliche. 

Quando è fresco, l’abete è pieno di resine e quindi inadatto: dev’essere invecchiato almeno una decina d’anni. La durata della stagionatura varia in base a dove lo si posiziona. L’ambiente ideale è quello di montagna, con un clima secco, specie per i primi anni. L’abete di risonanza cresce tra i 1200 e i 1700 metri di quota: in quella fascia di altitudine la crescita è costante e rallentata perché il bosco è fitto, l’albero cresce diritto per cercare la luce e ha pochi nodi, tutti elementi che concorrono a creare un prodotto perfetto per il nostro tipo di lavoro. Al di sotto dei 1200 metri la crescita potrebbe essere più rapida e la venatura più larga. Scelgo il materiale di persona ogni anno a Paneveggio, in val di Fiemme, a fine luglio, dopo una settimana di lavoro in un laboratorio artigianale liutaio allestito dalla guardia forestale per i turisti interessati ad assistere alla lavorazione. Così mi godo la natura, e ho la possibilità di acquistare questo legno che non ha eguali nel mondo. 

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