21 Mag 2020

Dal riciclo nasce una nuova economia

Il sistema circolare del legno genera benefici ambientali e crea sviluppo e occupazione

Intervista a Giovanni Azzone

Giovanni Azzone è professore al Politecnico di Milano, di cui è stato
rettore dal 2010 al 2016.

Articolo tratto dal primo numero della nuova rivista Walden, il mondo sostenibile di Rilegno.

C’è un sistema circolare che dà vita a un ciclo economico virtuoso unico in Europa. È il sistema del legno, recentemente analizzato dalla ricerca Il sistema circolare della filiera legno per una nuova economia, condotta dal Politecnico di Milano sotto la guida di Giovanni Azzone e presentata nel corso del convegno “The Future, Today” promosso da Rilegno e FederlegnoArredo. Mentre in altri Paesi il legno post consumo viene prevalentemente bruciato per produrre energia, l’attività di Rilegno ha permesso di rigenerare e quindi riutilizzare quasi il 30 per cento degli imballaggi recuperati e di riciclare la parte restante, consentendo di produrre pannelli per l’arredo senza bisogno di utilizzare legno vergine. L’effetto sull’ambiente è rilevante: un risparmio di quasi un milione di tonnellate di CO2. Ma è da sottolineare anche la capacità di creare sviluppo e occupazione, stimata dal rapporto del Politecnico attraverso l’uso di dati puntuali relativi alle imprese del sistema Rilegno e di modelli economico-statistici. L’impatto delle attività della filiera di recupero del legno post consumo è stimabile in circa 1,4 miliardi di Euro, con quasi 6.000 posti di lavoro complessivamente sostenuti in Italia.

Professor Azzone, il modello di economia circolare secondo la logica della “triple bottom line” (ovvero in termini di effetti economici, sociali, ambientali) creato da Rilegno è esportabile ad altri settori?

La “triple bottom line” parte dall’idea che l’impresa o l’insieme delle imprese debbano produrre più valore di quello che utilizzano. Il valore ha tante dimensioni diverse. Finora si è sempre guardato alla dimensione economica. Ma oggi è riconosciuto che le imprese utilizzano risorse, anche naturali, che sono di tutti. Quindi, riuscire a creare ricadute positive in termini ambientali è un risultato importante, che riscuote grande attenzione. Lo stesso vale per la dimensione sociale: è sempre più evidente che si può fare bene impresa quanto più la struttura, il contesto sociale è positivo: altrimenti è più difficile. Il modello Rilegno da questo punto di vista presenta un doppio vantaggio.

Quale?

Da un lato mostra come queste tre leve possano essere usate in modo congiunto: si può fare impresa in modo economicamente sano, cercando di migliorare le ricadute ambientali e con un effetto occupazionale importante. Sui libri questo modello si incontra molto spesso, ma un conto sono i libri, un altro conto vederlo applicato nei fatti in una realtà come Rilegno. Inoltre, rispetto ad altre esperienze di economia circolare, spesso è una grande impresa a definire il proprio modello, mentre nel caso di Rilegno ci troviamo in presenza di realtà frazionate, medie o piccole. Questo rende il modello interessante nella realtà italiana, dove la Pmi è la norma e un modello di economia circolare applicato alle Pmi è più facile da replicare.

Quali elementi del sistema Rilegno l’hanno colpita in particolare nel corso della vostra analisi?

Due in particolare. Uno è la capacità di perseguire congiuntamente due scopi: l’efficienza operativa, cioè la capacità di mettere insieme tanti attori diversi ognuno con il suo compito specifico, e contemporaneamente l’innovazione, con la ricerca di nuove tipologie applicative. Questa duplicità di azione è rara. Spesso si trovano situazioni ben organizzate ma rigide, oppure sistemi visionari difficilmente messi a terra. Riuscire a garantire il sistema nel presente, ma anche orientarsi al futuro senza accontentarsi dell’oggi, non è comune. L’altro elemento è la grande passione delle persone coinvolte: abbiamo intervistato attori diversi e percepito ovunque la consapevolezza di una sfida fondamentale in un sistema come il nostro.

Il caso di Rilegno, con oltre il 60 per cento di recupero degli imballaggi di legno contro il 30 per cento chiesto dall’Europa per il 2030, dimostra che l’Italia può aprire la via anche a livello continentale?

L’Italia può essere apripista purché si rispettino certe condizioni: non è sufficiente dire che vogliamo diventare un paese leader. Primo: un chiaro indirizzo strategico. Secondo: una organizzazione integrata, non così frequente nel nostro paese. Spesso siamo individualisti e quindi questo non è un nostro punto di forza. Terzo: la grande qualità degli attori, delle persone coinvolte: non possiamo pensare che chiunque venga messo in una posizione vada bene, dobbiamo scegliere le persone giuste nel posto giusto. Se riusciamo ad avere un’idea chiara di dove vogliamo andare, con coerenza di indirizzo, ad operare in modo integrato e a scegliere le persone giuste possiamo fare molto.

Di ambiente e sostenibilità si parla molto. È il momento giusto per premere sull’acceleratore?

Credo di sì, purché si rispettino le condizioni dette prima. Ambiente e sostenibilità devono essere stimoli per costruire progetti concreti, e non per fare greenwashing… Non bastano le parole, servono i fatti. Il caso di Rilegno dimostra che quando ci mettiamo concretamente a fare le cose i risultati si ottengono.

Apri e sfoglia Walden, il mondo sostenibile di Rilegno

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